Nel numero dell’ultima settimana di novembre del Giornale dei medici americani, il JAMA, è apparso un intrigante articolo a firma di Harris sulle sante anoressiche.

L’argomento è discusso da tempo ma l’autorevolezza della fonte ne fa un piatto prelibato, scusate l’uso dell’immagine retorica: un piatto e per giunta prelibato in tema di anoressia, praticamente una bestemmia.

I molti che ne parlano con troppa semplicità catalogano tra le anoressiche tutte quelle che, digiunando, diventano spettralmente magre. Molte sante finiscono così per i loro digiuni ed i loro stenti con l’essere considerate anoressiche. Come se la via della santità avesse una carreggiata facilitata dall’anoressia.

Di anoressia si parla da tempo. Il tema diventa importante nella seconda metà dell’800.

Un tale Marcé nel 1860 descrisse un “disordine dello stomaco” che Lasègue a Parigi nel 1870 definì anoressia isterica. Di là della Manica nell’autunno del 1868 il medico inglese sir William Gull offrì la prima moderna descrizione del disturbo alimentare più severo. In una lezione all’università di Oxford descrisse “una particolarissima forma di malattia che capita più facilmente nelle giovani donne, caratterizzata dall’emaciazione più estrema“.

Sei anni dopo propose di denominare quella malattia “anoressia nervosa” così chiamata in un suo testo rimasto di riferimento per generazioni di studiosi. Scrisse: “la mancanza di appetito è dovuta, credo, ad uno stato di malattia mentale …preferisco il termine di anoressia nervosa, dato che la malattia succede sia in donne che in uomini ed è piuttosto centrale che periferica”. Credo, perché il vero uomo di scienza non può non mantenere almeno un relativo dubbio sulle cose stesse che osserva.

Gull raccontò in modo dettagliato tre casi di anoressiche con tanto di fotografie e di incisioni illustrate delle giovani donne malate e discusse gli esiti del loro trattamento.

Una delle tre era morta. Nonostante questo esito, Gull notò che nessuna delle tre era senza speranza finché poteva ancora avere un filo di vita. Le muoveva una specie di energia indomabile. L’ultimo dei tre casi descritti era quello della giovane K.R. una paziente che Gull seguiva assieme ad un altro collega; la sua era la situazione più grave. L’aveva trovata così grave ed estrema che la fotografò e ne trasse un’incisione per la pubblicazione per potere avere chiaro sotto gli occhi di tutti la severità della malattia. Altrimenti ci si scherza su e si arriva a suggerimenti controproducenti e ridicolizzanti del tipo, non vedi come sei magra? ti farebbe bene mangiare un po’, un bell’ovetto ti terrebbe su. Fortunatamente K.R. rispose bene alla ri-alimentazione e nel giro di sei mesi poteva essere considerata di stare abbastanza bene.

La tradizione fa risalire la prima scoperta della malattia alla fine del ‘600, il 1689, quando Morton scrisse il primo resoconto di due pazienti che dimagrivano in assenza di patologie manifeste.

Ma la grande attenzione del pubblico risale a pochi decenni fa. Da allora sempre più psichiatri, psicologi ed internisti si impegnano per contrastare i Disturbi dell’Alimentazione. I casi di lieve gravità possono anche guarire da soli, quelli gravi no. Anzi l’anoressia non solo può non sparire affatto ma può essere fatale. L’elenco delle donne celebri, vittime incurabili, non è breve; solo per citarne alcune ricordo la cantante Karen Anne Carpenter che muore il 4 febbraio 1983 per uno scompenso cardiaco dovuto all’Anoressia ed Isabelle Caro morta il 17 novembre 2010. Costei era una modella diventata famosa al largo pubblico perché aprì la campagna “No Anorexia” mettendo in mostra le vertebre e le ossa del suo volto sotto la pelle con la famosa fotografia di Oliviero Toscani. Soffriva di anoressia da quando aveva 13 anni.

Ma le sante sono come costoro?

Seguendo le tracce dell’anoressia nervosa alcuni medici hanno retrospettivamente diagnosticato le condizioni di alcune sante medioevali come se fossero affette da anoressia nervosa, appunto, giacché queste sante si astenevano dal cibo fino al punto che in alcuni casi erano morte. Facevano del digiuno una prova del loro amore per Dio.

L’autoimposta virtuosa abnegazione alla rinuncia e l’eccessivo digiuno sono stati ricondotti da quegli studiosi alla anoressia nervosa o alla cosiddetta “anoressia mirabilis” che condivide con la anoressia nervosa la fisiologia del digiuno e la centratura mentale sulla ricerca della perfezione e della purezza.

Tra le sante considerate anoressiche da alcuni clinici, la più importante è Caterina da Siena, patrona di Italia e co-patrona di Europa che visse dal 1373 al 1374. Da ragazza Caterina mangiava solo pane ed erbe crude. In seguito non prese più né cibo né be­vande. Diceva il Beato Raimondo da Capua: la vita di Caterina è un continuo mi­racolo. Come faceva a continuare a vivere mangiando così poco? e poi vivere così intensamente?

Scrive Harris: Caterina era un modello di virtù ed il suo digiunare continuo è stato preso da riferimento ovunque.

Il pittore Carlo Dolci, fiorentino del 1616 e morto nel 1686 ha ritratto lo spirito ascetico della santa. Il quadro la dipinge in abiti domenicani, al cui Ordine terziario apparteneva, con in testa una corona di spine. Il pittore riprende la visione che ebbe Santa Caterina: Cristo le offriva a sua scelta una corona di oro ed una di spine. Caterina scelse la seconda.

Ma il ritratto più conosciuto è quello che le fece un suo conterraneo e contemporaneo, Andrea di Vanni che era anche uno dei suoi, tanti, seguaci. Le dedicò un affresco nella cappella delle Volte della chiesa di San Domenico in Siena, quella stessa chiesa in cui Caterina si recava a pregare. Vi è raffigurata una davvero scarna Caterina cui una giovane seguace sta baciando la mano.

Caterina (della famiglia Benincasa) era nata a Siena nel 1347. A sei anni disse di avere avuto la visione di Cristo in abiti da pontefice librarsi nei dintorni della chiesa dei domenicani. Un anno dopo fece il voto della perpetua verginità. Già da ragazza aveva confidenza col digiuno perché aveva visto sua sorella più grande rifiutare il cibo: in quel modo si ribellava rifiutandosi alle malefatte del marito. Dal punto di vista dei fattori predisponenti quindi vi è una familiarità coi disturbi dell’alimentazione e l’uso del sintomo contro una situazione vissuta come intollerabile.

Quando poi Caterina aveva 15 anni, sua sorella maggiore morì durante un parto. I suoi genitori allora fecero pressioni affinché lei sposasse il vedovo della sorella. A quell’epoca si faceva così. La sua pronta risposta fu invece di cominciare a digiunare in segno di protesta e così non fu costretta a sposarsi.

Nonostante le molte similitudini, ci sono molte buone ragioni per tenere la sua situazione ben distinta dall’anoressia nervosa. Innanzitutto sappiamo che le malattie sono costruzioni che si avverano in precisi contesti storici, linguistici e di potere. La malattia prende forma e senso nella storia. Trascurare i contesti impedisce di rendersi conto bene dei meccanismi mentali che vi si realizzano.

Secondariamente le anoressiche hanno un’estetica del corpo cui fare aderire il proprio corpo. Il grasso è orrendo e la magrezza diventa un obiettivo desiderabile. Le anoressiche non si sentono mai abbastanza magre e si impegnano per dimagrire ancora di più.

Le sante come Caterina non digiunavano per ottenere un corpo, per loro, più presentabile; prescindevano, credo, totalmente da questi estetismi per dedicare tutto sé stesse al Signore. Che fa una terza differenza: il loro digiuno è per congiungersi all’Altro mentre le anoressiche sono centrate su sé nel mondo che le circonda.

Quarta differenza le anoressiche esibiscono la propria magrezza, spesso la ostentano come provocazione o come successo; nei siti pro-ana si esibiscono. Le sante non digiunavano per diventare magre.

Insomma nonostante la identica fisiologia del digiuno tra Santa Caterina ed un’anoressica dei nostri giorni vi è una bella differenza.

 

Umberto Nizzoli