La vecchiaia, fa paura; ma la conosciamo bene?

Diventare vecchi è una brutta cosa; mi ripeteva mia zia. Erano i lamenti di chi non aveva più il corpo che seguiva i pensieri e gli impegni, duri, della quotidianità. Gli acciacchi limitano, le energie calano mentre i ricordi della gioventù si fanno anche più impellenti. Si vive un divario interno: una cosa è quel che si vorrebbe fare

e una cosa quello che concretamente si può fare.

Ma questo divario è davvero specifico solo della vecchiaia?

Epoca strana la nostra: il tentativo di non ferire nessuno porta a totalitarismi della cultura, alla cosiddetta culture cancel e alla repressione delle espressioni linguistiche.

Capita anche per la vecchiaia. Qualcuno preferirebbe chiamarla, terza età, no, anzi, quarta età visto che la durata media della vita cresce. Qualcuno arriva oltre e parla di giovani anziani. Età seguita dal periodo degli anziani maturi; come se la suddivisione dell’età senile in sotto-periodi potesse riprodurre il percorso di sviluppo: un sogno di rivivere l’età giovanile.

L’ipocrisia non cancella la realtà, per fortuna. Al più la incipria. La si vorrebbe allontanare, nascondere, casomai negare con una qualche formula magica. Il mercato delle illusioni è zeppo di creme per il viso "antietà" che fanno credere di mantenere un aspetto giovanile, di labbra rifatte, di patetici camuffamenti e di comici e tristi revival. Il messaggio è chiaro: essere vecchi è brutto, se puoi lo mascheri. Il problema è che i vecchi aumentano e quindi come “mascherarli o mascherarsi” diventa sempre più difficile. Possiamo stare certi che il mercato cercherà di sfruttare al massimo la “domanda di gioventù”. Il rifiuto della vecchiaia è diffuso; un nugolo di stereotipi negativi la avvolge. Stereotipi così radicati che spesso non ce ne accorgiamo nemmeno.

Per fortuna però mascherare la vecchiaia non è possibile. Allora guardiamola da più vicino. Le cose prendono senso nei contesti, è una regola che la presidente di APA ha chiarito ancora recentemente. Lo sapevamo già ed anche da molto tempo, ma sapere che la massima autorità in psicopatologia dica che non si può valutare una persona come fosse un soggetto a sé stante fuori dalla famiglia, dal lavoro, dalla scuola, in una parola da dove vive è un tragico riduzionismo. Quindi guardiamo il periodo che stiamo vivendo. Le contraddizioni diventano sempre più manifeste, intense ed ubique.

Effetto di una progressiva crescita del caos che esiste nel mondo, oltre che nelle società spesso l'intera delle famiglie e non ultimo nella testa dei singoli individui.

Il caos sembra regnare sovrano. L’unità sembra un paradigma da cancellare per fare esaltare le differenze; polarizzare tutto, frantumando i processi integrativi. Non vuole essere che una affermazione basata sui dati il dire che sembra di vivere una cultura diabolica in cui si cerca ciò che divide e non ciò che unisce.

Questo periodo storico vede esplodere le “diversità” con il corollario di orgoglio di ostentarle e comunque di chiedere il loro pieno riconoscimento.

La maggior parte delle organizzazioni scientifiche internazionali ormai dispone di dipartimenti centrali dediti a “diversità -equità – inclusione” (EDI: Equity- Diversity – Inclusion). Gli EDI affrontano questioni come il razzismo, il colonialismo nella ricerca, i nativi o le questioni di genere. Nella loro agenda gli EDI non hanno ancora messo la vecchiaia. Come si diceva più spesso la si nasconde o la si denigra. Quanto tempo ci vuole ancora per imparare a dare piena dignità ai “vecchi”? Anche loro hanno diritto di essere rispettati per quello che sono, non per quello che appaiono.

Quando un gruppo di popolazione è soggetto a denigrazione e stigmatizzazione si minaccia la salute fisica e mentale dei suoi componenti. E’ una regola che vale per ogni gruppo sociale: se lo si denigra, lo si impoverisce. Quando un pezzo di società sta peggio perché stigmatizzato, non è che le altre persone stiano meglio, anzi. Peggiora la società nel suo insieme.

Fin qui è un discorso culturale e valoriale, un tema di civiltà. E’ ora di dare voce e dignità agli avanti di età. Ma c’è dell’altro.

Gli stereotipi negativi che denigrano l'invecchiamento non fanno solo male ai vecchi né sono solo cattivi, sono anche spesso sbagliati! Non è che voglio indorare la pillola e dire paroline dolci. No, sono proprio sbagliati.

Sbagliati perché mentre è vero che il rischio di alcune malattie croniche e di demenza aumenta con l'età, la maggior parte degli anziani mantiene una buona salute e ha un buon funzionamento cognitivo. Per dare un’idea mi rifaccio a cosa scrive Becca Levy, professore di Epidemiologia sanitaria alla Yale University: "L'invecchiamento è un processo molto vario e ci sono grandi differenze tra gli individui. Sempre più evidenze scientifiche rilevano una forza che deriva dall'invecchiamento". Una forza, capito. Non un indebolimento!

Prendiamo ad esempio lo stereotipo secondo cui le persone diventano meno creative man mano che invecchiano. C’è una miriade di artisti e di musicisti diventati più creativi e più generativi più tardi nella vita che dimostrano il contrario. La creatività può diventare più raffinata e meno bloccata dalle convenienze. Insomma può migliorare e può essere più libera.

Prendiamo un altro stereotipo: le capacità cognitive peggiorano inevitabilmente con l’avanzare dell'età. È vero che alcune abilità cognitive, come i tempi di reazione, tendono a rallentare. Ma altre funzioni rimangono robuste e addirittura migliorano. Ad esempio gli anziani, quelli sani chiaro, sono più bravi degli adulti di mezza età nell'orientare la attenzione e nell'ignorare le distrazioni: cioè hanno le condizioni per studiare e imparare meglio. Meglio degli adulti e molto meglio dei giovani!

Invecchiare offre altri vantaggi. Man mano che le persone invecchiano, tendono a diventare più gentili e più coscienziose.

Poi ancora, è vero che ci sono anziani che vivono frequenti crisi ansiose ma più spesso gli anziani tendono ad essere più bravi a regolare le proprie emozioni; e più vanno avanti negli anni, più migliorano.

Tra i miglioramenti vi è anche una maggiore maturità sociale complessiva; sono cittadini più coscienziosi. In pratica si diventa più capaci di andare d'accordo con gli altri e più in grado di prestare attenzione alla salute o all’evitare di mettersi in situazioni rischiose.

Oltre al funzionamento esterno, quello sociale, può migliorare il funzionamento interno.

Karl Pillemer della Cornell University parla di paradosso dell'invecchiamento: "Le persone anziane segnalano una maggiore felicità e soddisfazione di vita rispetto ai giovani". La ricerca infatti evidenzia che c’è una cosiddetta curva della felicità, una tendenza a forma di U in cui i livelli di felicità sono più bassi nella mezza età.

Contrariamente alla credenza popolare che, errand,o crede che gli anziani “vadano fuori di testa”, la salute mentale migliora nel corso della vita. Disturbi della personalità che hanno drammaticamente segnato la vita di certuni, spesso travolgendo intere famiglie, tendono a stemperarsi con l’invecchiamento.

La visione negativa della tarda età quindi non è solo falsa e sbagliata, è anche pericolosa. E’ vero che alcuni anziani hanno bisogno di supporto, ma altri il supporto lo danno. Lo danno col lavoro, col volontariato, con l'assistenza, con l’esempio. Questi contributi alla società, alla famiglia, al vicinato sono una risorsa, sono un lusso.

Eppure i pregiudizi sulla vecchiaia influiscono in tanti ambiti, ad esempio sulle decisioni di assunzione e di promozione nel lavoro. In ambito medico, gli stereotipi associati all'invecchiamento possono influenzare le decisioni terapeutiche. Erroneamente si presume che gli anziani siano troppo fragili per fare terapie intensive. Nel campo della salute mentale, la maggior parte degli psicoterapeuti non riceve nessuna formazione specifica in geronto-psicologia; molti psicoterapeuti preferiscono non prendere in carico i pazienti più anziani. C’è addirittura chi crede che la depressione sia una conseguenza naturale dell'età avanzata. Questa idea è una sciocchezza. Dove gli anziani sono rispettati, come ad esempio in Giappone, li si tiene in famiglia ben trattati; vivono meglio e a lungo.

Avere paura della vecchiaia fa vivere peggio. La gente che ha sentimenti negativi riguardo all'invecchiamento ha maggiori probabilità di sperimentare più ansia e più stress, il che, questo sì, è collegato a molte malattie; e non solo dell'invecchiamento. Infatti è stato scoperto che l'auto-percezione negativa causa l'invecchiamento è associata a una maggiore prevalenza di tutte le principali condizioni di malattia.

Sarebbe allora davvero meglio cambiare atteggiamento sull’invecchiamento. Ci vuole più educazione, più sensibilità e più conoscenze per smettere di parlare per luoghi comuni, per giunta sbagliati.