I nostri stili cambiano in fretta? Perché poi mi faccio domande così pleonastiche. Se penso a me fino al 2019 le riunioni le facevo

solo di persona. Spesso lunghi viaggi accompagnavano un congresso o un direttivo. Vedere poi un paziente non di persona sembrava un sacrilegio: il bello dell’incontro, l’unicità della presenza. Sembravano dogmi insormontabili.

Poi è arrivata la pandemia che poi si è complessificata nella sindemia.

Vedersi a distanza è diventato comune. Anche il telefono è scemato di frequenza di uso. Ci facciamo una call? Sembra addirittura più confidenziale, più casual, più operativa.

I linguaggi si formano nella storia; con essi i modi di essere e di pensare. Quel che un tempo sembrava la frontiera dei costumi, ci vediamo stasera le diapositive? Hai portato il dvd? Oggi sembrano archeologia. Forse per i più giovani non significano niente. In auto si ascoltavano le cassette, roba che Spotify ha cancellato.

Il mondo si muove in fretta, attorno a noi e dentro di noi; non solo perché si è iperstimolati da connessione continua. Perché la tecnologia cambia, e cambia più volte,  sotto gli occhi di una stessa generazione. Ci si deve adattare, ma ci si riesce a seguire / inseguire il cambiamento? Non si fa in tempo ad apprendere la novità che diventa addirittura obsoleta.

Succede quindi che si usano i nuovi strumenti come si usavano i vecchi; come se fossero la stessa cosa di prima, solo un po’ potenziata. Ma non è vero, è un metodo nuovo che richiede competenze e atteggiamenti nuovi.

Siamo finiti a usare le piattaforme come sostituto dell’incontro fisico e ci si muove, si parla come se fossimo nella stessa stanza. Ma non è vero! Strumenti nuovi richiedono, impongono,. Meglio, linguaggi diversi. Ma chi insegna a modificare il proprio modo di comunicare, il proprio modo di essere in funzione dei nuovi strumenti? Nessuno. Lo si impara, se lo si impara, sul campo, con la pratica. Ma i più non lo imparano affatto e finiscono con l’essere vittime della /nella rete.

I linguaggi si sviluppano nei contesti e si forgiano con gli strumenti utilizzati. Non cambiano solo le parole. Siamo invasi da parole nuove che traducono le cose, gli oggetti, le azioni nella nostra “vecchia” lingua ibridandola. I puristi fanno battaglie per difendere il “vero” italiano. Mi sembra una battaglia persa, ma tant’è, la nostalgia è un sentimento che dura nel tempo; anche se la nostalgia è tipica di chi ha perso qualcosa; lo rimpiange ma non riesce a riaverlo, ecco perché c’è nostalgia. Si ricordano i tempi che furono, si dice che erano migliori, ma chissà se è vero?, ci si impegna per farli tornare attuali; ma si rimane perennemente frustrati: i vecchi tempi non tornano. Mai.

Allora eccoci invasi di parole che per alcuni non significano niente. Stranieri in casa propria. Si formano delle nuove differenze, far chi sa usare il nuovo, o addirittura lo capisce, che non è la stessa cosa, e chi non capisce neppure il senso delle cose che si dicono. Figurarsi quelle che si fanno!

Si parla di un mondo progressivamente diseguale. Le diseguaglianze crescono. Non solo per motivi economici. La conoscenza è la base del successo personale e spesso del guadagno. Imparare a usare il nuovo dà un vantaggio insuperabile.

I puristi della lingua sembrano quei tali che continuavano a scrivere con la penna stilografica, sì la penna stilografica che faceva molto più fino della bic, mentre negli uffici si introducevano i computer.

Invece di stare lì a rimpiangere i bei tempi passati sarebbe meglio gettarsi ad educare la pioggia di novità che ci sta incalzando. Questo occorrerebbe fare: imparare a gestire le novità. Oggigiorno avere una capacità di apprendimento del cambiamento veloce è meglio che avere una formazione di base. Un domani molto prossimo la selezione del personale comprenderà questa capacità: imparare in fretta e sapersi adattare al nuovo. Alla faccia di chi idealizza ancora la formazione come classicamente la si è intesa. Essere aperti, recettivi, flessibili sarà meglio di avere un diploma.

Sommersi nella iperstimolazione della rete diventa importante sapere estrarre dal contesto piccoli tracce di significato di ciò che ci interessa e scartare ciò che non serve.

Ecco un'altra competenza tutta umana che deve essere applicata nel mare degli stimoli provocati dalla connessione continua.

Che ha generato anche grandi innovazioni positive. Racconto spesso che ho fatto un intervento a un congresso organizzato da una università australiana dalla sala mensa durante la pausa pranzo di una formazione al personale di un ospedale. Ma quanti sono i meeting con colleghi di tutto il mondo ognuno stando a casa propria? Quel che prima facevo in un anno adesso è il lavoro associativo di una settimana.

Le cure a distanza consentono di seguire una persona che si è dovuta spostare in un’altra regione o all’estero.

Ancora più profondi sono due altri cambiamenti.

Si possono raggiungere persone che vivono molto distanti dai presidi sanitari. Gente che per andare in ambulatorio dovrebbe impiegare un giorno intero o anche di più, pensa a chi vive su un’isola, adesso sta connessa un’oretta e la visita è fatta. Questa opportunità riduce le diseguaglianze dovute alla facilità di accesso.

Altrettanto vale per la formazione. Compatibilmente con i tempi personali si possono seguire i corsi delle più disparate e importanti istituzioni accademiche.

Durante la pandemia mi sono fatto scorpacciate di webinar organizzati da JAMA, dal Lancet, dal New England Journal, dal British Journal, dalla OMS, per dirne alcuni. Anche questa opportunità riduce le disparità. Puoi seguire un corso di Harvard anche se vivi in campagna e per quanto costi, non costa mai tanto come se ti trasferissi a Boston.

Anche questo aspetto riduce le diseguaglianze: puoi vivere anche nelle periferie o nelle balie ma puoi seguire i corsi delle scuole più avanzate.

La rete raggiunge luoghi altrimenti irraggiungibili di formazione e di cura. Tutto diventa (diventerebbe) più accessibile e meno costoso.

C’è però chi vede in queste straordinarie estensioni il desiderio di sostituire l’umano, troppo imprevedibile e limitato, con artefatti di sintesi e algoritmi mediante i quali esercitare un pieno controllo su tutto ciò che accade.