Chi segue i dibattiti che si fanno tramite web ha l’impressione di assistere ad una grande confusione agita con una consistente virulenza. Chissà cosa starà apparendo ora che mi leggi in questo editoriale? La sensazione di rincorrere questioni che sfuggono, volano via, è forte. Molto, se non tutto, appare vano. Sì perché i discorsi si rincorrono ripartendo sempre da zero, come se nessuno o nulla avesse mai costruito qualcosa e nulla fosse rimasto. E’ così da parte dei politici tesi ogni volta a fare credere di avere trovato, finalmente sarebbe da dirsi!, la soluzione. E’ così per i media che continuano imperterriti a cercare lo scoop, pazienza. Ma è così anche tra i professionisti, così travolti dall’urgenza da non riuscire ad avere “basi sufficientemente sicure”.

Ovviamente si può subito fare un elenco di “cose” che contraddicono la suddetta affermazione: ci sono infatti politici che fanno discorsi sensati, media che pubblicano articoli intelligenti e professionisti che fanno onore a questo paese; ma sono pochi e soprattutto insufficienti per porre freno al risorgere continuo di quelli della prima risma. Insomma chi costruisce, o cerca di farlo, ha spesso l’impressione di agire su un terreno fragile, fangoso; e si riparte sempre da zero. Possibile che accada quando il livello delle conoscenze scientifiche aumenta rapidamente? Possibile perché c’è uno iato, un baratro tra mondo della scienza e società civile, e sue espressioni. Purtroppo buona parte degli addetti stessi vive scissa dal mondo scientifico ed opera seguendo stereotipi, luoghi comuni, spesso triti e ritriti. Due sono quindi le questioni. La prima consiste nel riuscire ad ingaggiare gli operatori in un processo di aggiornamento permanente

La seconda questione è ancora più grave, se si può. Tra società civile e mondo della scienza vi è uno scarto. Anziché essere vissuta come il sale della democrazia, la scienza è percepita come oscura, estranea, avversa, sospetta. Insomma qualcosa non di cui beneficiare, ma da cui proteggersi. In epoca di deificazione della scienza, nel campo delle dipendenze la scienza è invece percepita negativamente: frutto del dominio irrazionale che c’è nel settore: anni di ricerche illusorie tramite guru, alternative improbabili e lnci messianici non sono passati invano, si direbbe. Ciò, se si può, presenta una questione ancora più grave, dicevo. Infatti sembra che il settore delle dipendenze sia impermeabile all’innovazione ed all’apprendimento. Tuttavia non spaventiamoci! Personalità/Dipendenze, si può dire, è nata proprio apposta: per dare spessore, sostanze e visibilità agli operatori professionali del settore dipendenze. Molto c’è ancora da fare.

E’ in atto una forte evoluzione dei bisogni dei pazienti. Sono le forme “nuove” dei consumi che producono i “nuovi” bisogni. Pertanto necessita innanzitutto studiare queste forme “nuove”. Molti segnali arrivano dagli operatori di strada soprattutto e da alcune ricerche epidemiologiche e qualitative. Ma sarebbe bene approfondire il tema e disporre di dati aggiornati sui nuovi stili di consumo. Sì perché, lo rileviamo tutti quanti, nel settore è diffuso uno stile che cerca di no farsi mai cogliere di sorpresa di fronte ai fenomeni e che dice e contraddice qualsiasi citazione sulla base, al meglio, di esperienze personali, o, al peggio, delle reazioni agli articoli di stampa. Sarebbe il caso di finirla con questi atteggiamenti da “saputelli” e di ammettere che è in corso una formidabile ed affannosa rincorsa da parte dei servizi per cercare di applicare nuove strategie verso i “nuovi” consumatori nella consapevolezza profonda che le tradizionali strategie non si applicano bene ai “nuovi” pazienti mentre le “nuove” strategie stentano ad essere individuate.

Nonostante quindi i grandi guadagni sotto il profilo delle conoscenze in materia di dipendenze, i recenti cambiamenti epidemiologici rilevano l’esigenza di aggiornare profondamente le pratiche che mettono a nudo serie carenze.

Una siffatta questione merita lo sviluppo ancora maggiore dell’attività di ricerca e formazione. Infatti siccome molto ancora c’è da fare per diffondere nelle pratiche di tutti i servizi pubblici e privati le conoscenze relative alle dipendenze “tradizionali”, dovere poi aggiornare le conoscenze a partire dall’epidemiologia su temi nuovi rischia di facilitare le novene dei detrattori dell’approccio scientifico.

Allora appare cruciale mettere al centro le ricerca e l’innovazione nella costruzione dei sistemi curanti.
Questo è l’orientamento della redazione: considerare ricerca ed innovazione non come cenerentole o fiori all’occhiello comunque periferici alla pratica dei servizi, ma architravi fondanti gli stessi e comunque atti dovuti da parte di ogni sistema curante. Ci piacerebbe un governo che dicesse: non possiamo finanziare servizi che non prevedono come azioni costitutive delle proprie pratiche di cura e di prevenzione le attività di ricerca ed innovazione. Ovviamente questa è un’aspettativa destinata a cadere nel cestino: figurarsi se in queste circostanze di debolezza il governo può assumere decisioni così radicali, ma questa redazione ne fa un invito pressante alla sensibilità di tutti i decisori.

A nostro modo di vedere è un orientamento necessario per differenti ragioni: di giustizia verso i contribuenti che possano sapere che fine fanno i propri versamenti; di equità verso i pazienti e le loro famiglie; di rispetto per i professionisti seri; di impulso all’aggiornamento universitario; di civiltà e democrazia.

Umberto Nizzoli

(Volume 13 fascicolo I° di Personalità/Dipendenze, Mucchi editore Modena)