La materia è dubbia, pochi ancora i dati di ricerca: perciò sono controversi, ma se si fa come spesso accade che si osservano i primi risultati, come avere dubbi?

L’esplosione dell’uso dei videogiochi è recente: non trovo più genitori che non mi dicano che i loro figli hanno la Playstation o la Wi. Ricordo i primi che una trentina di anni fa lo raccontavano, allora era un elemento distintivo oggi è una banalità.

Le prime ricerche sorte una ventina di anni fa miravano soprattutto a dimostrare che giocare coi video non creava dipendenza. Tra di loro ha fatto un po’ specie uno psicologo, Douglas Gentile, che ha recentemente ammesso che allora si sbagliava proprio.

Non è usuale da noi ascoltare qualche personaggio importante dire al suo pubblico che aveva sostenuto tesi sbagliate. Da noi i più fanno finta di niente ed anzi spesso si auto dichiarano di essere sostenitori della tesi al momento prevalente già dalla prima ora. Accade così non solo in ambito scientifico, si pensi alla politica. Gentile invece ha candidamente detto alla CNN che si sbagliava.

Ha condotto ricerche sul tema sia in USA che in altre parti del mondo ed ha scoperto che circa l’8,5% dei bambini che giocano a videogame sono dipendenti.

Come succede in ambiti in cui i dati non sono ancora stabilizzati si rintracciano ricerche fatte da un gruppo di ricerca o da un altro in un luogo o in un altro che evidenziano risultati differenti, ma praticamente tutti coloro che stanno ricercando trovano che ci siano dei bambini dipendenti dai videogiochi. Si va da un minimo del 4% ad alcuni che indicano il 15-16%, ma tutti cominciano a confermare che il problema esiste.

Quindi come facciamo sempre quando non ci sono evidenze sovrane parliamo di stima e ci teniamo prudentemente dentro un range moderato; possiamo quindi ragionevolmente dire che probabilmente tra i bambini che giocano ai video-giochi circa un 5% sviluppa dipendenza. Il fenomeno si è complicato perché diversamente dai primi videogiochi che facevano la felicità dei piccoli delle famiglie che si davano importanza, oggi si accede alla rete. Si può giocare scaricando giochi da una web, molte web offrono promo per allettare futuri clienti; inoltre si può giocare interfacciandosi con altri giocatori che abitano altrove e che non si conoscono che come giocatori di quel videogioco. Tramite il gioco si ripetono le situazioni stimolanti che offre la rete. Ti immagini che bello giocare con un vietnamita o con un africano o con un tedesco? Io che ho avuto la possibilità di farlo da piccolo lo ricordo come uno dei più ricchi momenti del mio sviluppo. Solo che i miei amici erano in carne ed ossa, nei videogiochi sono virtuali. Possono essere molti di più e raggiungibili sempre: una bellezza. Ma possono essere altra cosa da quella che sembrano, possono essere speculatori, persecutori o male intenzionati. Bisogna sorvegliare.

Il problema si presenta con due facce: la seduttività del gioco. Sempre più ricco, spettacolare, simile a realtà fantastiche, capace di proiettare il giocatore in mondi lontani, in un tempo addietro o in futuri inesplorati, tra le isole dei Caraibi come sulla Luna; sempre con avventure mozzafiato che non lasciano lo spazio mentale ad altro: assorbiti nella storia sul video.

A volte i genitori ne beneficiano: i figli sono custoditi dal videogiochi cosicché possono distrarsi e pensare alle faccende domestiche o personali, tanto i figli chi li stacca dal videogioco?, pensano.

Se oltre alla bellezza dei giochi proposti si aggiunge la rete, il fenomeno si complica e la possibilità di sviluppare dipendenza aumenta. Il problema è amplificato dall’accesso alla rete. Più si amplia la capacità di connessione, maggiore diventa il rischio. La maggiore disponibilità di tecnologie e la diffusione della banda larga sono le ragioni principali per questo nuovo fardello sociale.

Non esiste la possibilità di fare degli avanzamenti senza che ci siano rischi corrispondenti; ogni guadagno ha le sue perdite, si dirà ed è saggio. Un mondo fatto solo di belle cose in terra non c’è. Non per questo però ci si deve rassegnare e lasciare circa un 5% dei bambini diventare dipendenti dai videogiochi. Il punto è che in assenza della produzione dei videogiochi non si sviluppa questa dipendenza. Detto in altro modo questo fenomeno dimostra che i disturbi e le patologie sono largamente condizionate dalle condizioni storiche e sociali in cui si manifestano. Se non ci fossero droghe non ci sarebbero drogati; se i bimbi continuassero a giocare a briscola come facevo da piccolo non si sarebbero bimbi dipendenti dai videogiochi. Non si può però arrestare la storia ed internet è una conquista irrinunciabile.

Tra giocare a guerre spaziali o di pirati e giocare d’azzardo il passo è piuttosto breve.

Il DSM, lo strumento nosografico più in uso per riconoscere le malattie, la dipendenza da videogiochi ancora non c’è: vale quel che dicevo in apertura, che i dati di ricerca stanno affluendo ora. Ma la dipendenza da gioco d’azzardo invece c’è ed è considerata equivalente alla dipendenza da eroina o da cocaina. Ed il gioco d’azzardo in rete sta abbondantemente soppiantando quello nei casinò. I casinò sono lontani, quasi tutti hanno un computer e quasi tutti hanno un sistema di videogioco in casa. Se poi consideriamo che quasi tutti i ragazzini hanno un cellulare con l’accesso internet, ai giochi si può accedere a praticamente ovunque.

I videogiochi sono molto seduttivi per i piccoli, ma non solamente per loro, perché li fanno sentire autonomi e forti perché sentono di avere il controllo: comandano loro cosa fare, quale finestra aprire, cosa cliccare. Poi li fanno sentire pieni di competenza, svelti, furbi, in una parola bravi in quello che fanno; se infine si aggiunge l’interfaccia con altre persone, possono avere un sentimento di appartenenza, di sentirsi parte di una community.

Fare videogiochi può dare al ragazzino o alla ragazzina tutti questi elementi. Qualcuno si vanta per la comunità online che lo circonda, se ne stente galvanizzato. Un buon genitore dovrebbe sorvegliare questi processi affinché non si ritrovi un figlio o una figlia divenuto intrattabile perché è dipendente da videogiochi.

 

Umberto Nizzoli