Marijuana in gravidanza? Meglio di no, grazie

Sempre più stati e paesi legalizzano l’uso dei cannabinoidi: inevitabile la sdrammatizzazione del consumo. Sempre più attori, cantanti, influencer scherzano apertamente sul consumo di marijuana; farsi una “canna” è un comportamento sdoganato. Di converso ci sono

ormai sufficienti dati per rilevare quali siano le conseguenze sullo stato di salute dei consumatori e sui danni al vivere collettivo. Ci sarebbe da esserne preoccupati. Nonostante ciò il vento favorevole alla legalizzazione non tende a scemare. Ne consegue che è bene accrescere la consapevolezza dei potenziali consumatori affinchè l’uso sia il più responsabile possibile. In fondo in quarant’anni di esperienza nel settore mi sono sempre tenuto fuori dalle partigianerie avverse fatte da chi vuole rendere libero il consumo e chi lo vuole proibire; personalmente ho sempre sostenuto il primato della educazione e delle scelte responsabili. Primo ragionare, senza farsi trascinare né da mode né da perbenismi. Si può porre l’attenzione a molti aspetti ma tra i tanti è molto delicato quello sugli effetti sul feto della gravida fumatrice e poi sui bimbi della prima infanzia figli di madre fumatrice di hashish o marijuana . Insomma cosa succede a neonati e bambini se i genitori, le loro madri, fumano marijuana? Dopo che molti paesi l’hanno legalizzata, la percezione della sua sicurezza è ovviamente ancor più aumentata.

Così l'uso della marijuana tra le donne incinte si è espanso. Le cifre più recenti dimostrano quasi una duplicazione della percentuale dei consumi dal 2002 ad oggi. Nel contempo anche la potenza della cannabis in circolazione è sostanzialmente aumentata; probabilmente questo fenomeno continuerà con la progressiva immissione di migliorate procedure di estrazione dei componenti attivi.

Anche se la cannabis è riconosciuta per l'uso medico per alcune condizioni cliniche, è risaputa anche la serie di effetti negativi a breve medio e lungo termine oltre alle sue possibili reazioni acute.

L’espansione dell'uso della cannabis tra le donne incinte e tra le donne che allattano può portare ad un aumento del rischio da parte del feto e del bambino per l’esposizione al potenziale teratogeno della cannabis. Eppure ciò è largamente sottovalutato. Il THC, il tetraidrocannabinolo, la maggiore

componente psicoattiva della marijuana (ne contiene oltre 500) attraversa prontamente la barriera placentare. La quantità di dati raccolti sia su animali che negli esseri umani indica che l'esposizione prenatale può essere correlata a un danno per lo sviluppo del feto e del bambino.

L'esposizione al THC può influire negativamente sul sistema endocannabinoide fetale che è in via di sviluppo. (i recettori si formano molto presto nella vita fetale, cioè a 14 settimane di gestazione) e hanno funzioni importanti nello sviluppo del cervello del feto e del neonato.

L'assunzione di cannabis in gravidanza può modificare la costruzione dei sistemi cerebrali del feto che poi saranno necessari al bambino per trarre soddisfazione e piacere nella vita e per sopportare lo stress modificando determinate regioni del cervello (ad esempio, il nucleo accumbens, l’amigdala e le aree corticali). Gli effetti possono espandersi per tutto il periodo dello sviluppo e per la vita adulta.

Studi recenti (Wachman e Altri, 2018, JAMA) dimostrano che gli effetti possono riguardare lo sviluppo motorio, i disturbi del sonno, i disturbi della memoria, l’aggressività e i problemi di comportamento.

Anche la madre che consuma cannabis presenta spesso problemi come madre. E’ rilevata la riduzione della sua capacità di controllo degli impulsi e la perdita di attenzione e di tempo sottratto alle cure del neonato e invece impiegato per procurarsi e consumare cannabis. Madri meno attente, meno giudiziose e coordinate possono influenzare la sicurezza del bambino.

Se poi si considerano gli effetti a lungo termine come depressione, comportamenti a rischio, malfunzionamento esecutivo e aumento del rischio di comorbilità psichiatrica, si comprende quale possa essere il bilancio negativo per lo sviluppo dei bambini.

Nonostante questi rischi, sembra che i clinici non stiano affrontando l’uso di cannabis durante la gravidanza o l'allattamento come un problema serio per la tutela della salute dei minori. Né pare che la cosa interessi granchè a molti giudici e avvocati del diritto di famiglia, quasi nessuno la considera tra le competenze di adeguatezza genitoriale; nella banalizzane sociale dei consumi non ci si presta neppure più grande attenzione. Eppure le Linee guida più accreditate a cominciare da quelle dell'American Academy of Pediatrics e dall'American College dei medici ostetrici e ginecologi sono chiare nella contrarietà all'uso di cannabis durante la gravidanza e l'allattamento.

C’è perciò il problema educativo di riuscire a sconsigliare alle donne in gravidanza o che allattano di evitare l'uso di cannabis. Un buon consiglio può migliorare le condizioni di sviluppo dei feti e dei neonati. Dallo, quando puoi.