Empatia: impararla e usarla bene

(apparsa su La Libertà del 10 agosto 2022)

 

L'empatia può essere coltivata;  cioè non si nasce con un gene dell'empatia.

Si apprende nelle relazioni e si costruisce assieme alla crescita, ma può essere imparata a ogni età.

Stiamo vivendo un'epoca di grande caos dove la frantumazione delle società diventa sempre più pervasiva e le polarizza. Proprio per quello sarebbe molto bello se diventassimo un po' più carini, cooperativi e tolleranti

gli verso gli altri; ed ancor meglio se diventassimo più empatici.  

Che è un andare controtendenza, perché l'attualità prevede aggressività, competizione, sottolineatura delle differenze individuali.

Non si è però obbligati ad essere sgarbati, brutali, arroganti solo per ferire e per reputare di essere unici. Un tempo la si chiamava buona educazione; potremmo oggi fare qualcosa di più: potremmo imparare l'empatia che è il modo per condividere la condizione degli altri.

L'empatia è un buon predittore di come le cose potranno evolvere nei comportamenti sociali, individuali e nelle relazioni famigliari o amicali.

In ambito scolastico si è visto che l'empatia motiva i comportamenti pro sociali e come le capacità di farsi carico, di aiutare gli altri o di fare del volontariato. L’empatia allontana dal fare cose aggressive o, peggio, bullismo.

Chi ha vera empatia verso gli altri è impedito dal fare bullismo agli altri perché sarebbe come farlo un po' a se stessi.

Una buona empatia favorisce la possibilità che le persone aiutino altre persone che ne hanno bisogno Diversi studi condotti ad esempio alla Oxford University dimostrano che l'empatia è un facilitatore di comportamenti caritatevoli. Altri hanno dimostrato che l'empatia favorisce le donazioni o cha l'empatia è anche la base per promuovere migliori relazioni con persone straniere.

Varie ricerche hanno dimostrato che il livello di empatia si rileva dalla difficoltà o dalla facilità di stigmatizzare altri gruppi in particolare persone povere o con vantaggi e disabilità o verso persone con patologie infettive tipo l'Aids.

In ambito scolastico si è visto che un insegnante empatico ricorre molo meno a sanzioni disciplinari e motiva di più i suoi studenti all'apprendimento. Quindi l'empatia è anche molto utile nei luoghi di studio e di lavoro per potere migliorare non solo l'ambiente ma anche la produttività.

Chi ha funzioni di responsabilità nelle organizzazioni del lavoro o sociali dovrebbe capire che avere un approccio empatico favorisce la partecipazione dei collaboratori o degli studenti e li motiva al risultato atteso: il miglior apprendimento possibile.

Nonostante i potenziali importanti benefici l'empatia non è una cosa che viene da sé; bisogna impararla, ed impararla nel modo giusto. Come tutte le cose umane ha anche l'opposto.

Varie ricerche dimostrano infatti che un atteggiamento empatico può provocare degli effetti negativi. In particolare può provocare favoritismi e quindi creare divisioni fra persone che avrebbero bisogno creando dei cerchi dei protetti diversi e distinti da coloro i quali sono ancora nel cortile della sofferenza.

La ricerca dimostra poi che l'empatia intesa come vivere la stessa condizione della persona sofferente, ha degli effetti negativi per chi la esprime.

Mettersi nei panni dell'altro come spesso si suggerisce è molte volte sbagliato perché fa diventare anche la persona che attua questa identificazione una persona che soffre e quindi fa ridurre le sue capacità di aiutare. Se vuoi aiutare davvero gli altri devi stare bene.

 Per citare il professor Dovidio della Yale università mi vien da dire che la giusta empatia è  uno stile cognitivo che sa assumere la prospettiva di qualcun altro, della persona che si vuole aiutare, sa leggere le sue emozioni, sa comprendere i suoi pensieri e capisce il suo stato in senso generale.

In pratica dice Dovidio l’empatia giusta non dovrebbe farti diventare una persona che soffre ma farti diventare un buon caregiver.