Definizione del Disturbo da Uso di Sostanze.

Perché è tanto difficile

Nonostante se ne sia fatto un gran parlare, la definizione del tema è tuttora questione aperta non solo perché, essendo pervasiva, tocca nell’intimo molti (pressoché tutti) target sociali e ne esce una congerie descrittiva simile a una babele, ma anche per la profondità e le difficoltà delle questioni disciplinari, professionali, etiopatologiche, cliniche, preventive ed organizzative.

La scienza offre il miglior linguaggio (possibile) per decodificare la realtà; essa è dunque un continuo ridisegnare (ridefinire) il mondo con una continua «ribellione colta» al sapere

del presente. Basterebbe quindi chiederlo alla scienza, ma “nel campo di coloro che cercano la verità non esiste nessuna autorità umana e chiunque tenti di fare il magistrato viene travolto dalle risate degli dei” Albert Einstein. Al di là di certi desideri di certezze iconicamente esaltati nella lotta alla recente pandemia, la ricerca scientifica non si nutre di certezze definitive quanto piuttosto di una radicale mancanza di certezze; di lì la ricerca di conferme e la competizione (tra scienziati, tra scuole) per ottenere risposte più efficaci. Giorgio Parisi premio Nobel per la fisica 2022 ha sottolineato più volte che la scienza soprattutto esclude le ipotesi sbagliate e si sforza di costruire quelle più vicine al vero. Si procede per approssimazioni e per sconfessioni

Per questo si sono succedute diverse descrizioni e teorie sul tema di questo articolo.

La scienza si muove da ipotesi ma richiede solidi controlli sperimentali per giungere alle sue, temporanee, conclusioni. Senza dimenticare che esistono condizioni generali spesso neppure esplicite che formano un contenitore di idee, emozioni sentimenti che segnano un’epoca, lo Zeitgeist, il procedere scientifico cerca dì falsificare, dimostrare false le congetture per sostituirle, se ci si riesce, con teorie migliori. Nello sviluppo della ricerca scientifica, non ogni teoria vale l’altra ma  di volta in volta, accettiamo quella teoria che ha meglio resistito agli assalti della critica. Il fallibilismo, in breve, è la via aurea che, in ambito scientifico, consente di evitare sia il dogmatismo scientista sia l’arbitrio soggettivistico, tipo quel modo di fare che hanno ancora molti “clinici” consistente nell’agire in un certo modo perché glielo dice la loro scienza e coscienza, dando prova con ciò di essere arroganti e autoreferenziali. Karl Popper (2009) ha chiarito che: “Tutta la nostra conoscenza rimane fallibile, congetturale. Il vecchio ideale scientifico dell’ episteme – della conoscenza assolutamente certa, dimostrabile – si è rivelato un idolo. L’esigenza dell’oggettività scientifica rende ineluttabile che ogni asserzione della scienza rimanga necessariamente e per sempre allo stato di tentativo”.

Una teoria diventa interessante solo in quanto sa dare predizioni buone all’interno di un certo dominio di validità ed entro dati margini di errore (Antiseri, 2000).

La scienza è la ricerca continua del miglior modo per pensare il mondo e per osservarlo. L’esperienza della ricerca scientifica è l’esperienza del trovare (euresis); ma per trovare bisogna avere delle aspettative, porsi degli interrogativi con i quali provocare la realtà, orientare l’indagine. La scienza parte dalle domande giuste. Lo scienziato è l’artista della domanda.

Non esistono dati empirici puri sul mondo a cui appoggiare tutto, perché ogni percezione è pesantemente strutturata dal cervello individuale, dal suo pensiero e dai suoi pregiudizi. Tanto più che i sensi ci ingannano. Il mondo è terribilmente più complicato delle immagini ingenue che ce ne facciamo per muoverci in esso. Raccogliamo segnali e cerchiamo di organizzarli in teorie; la «Legge di Hume», stabilisce l’impossibilità logica di dedurre asserti prescrittivi da asserti descrittivi. 

La probabilità è la guida della nostra vita, nei suoi aspetti più quotidiani come nelle applicazioni scientifiche più sofisticate È sbagliato pensare, come sostengono le teorie «oggettivistiche», a partire da Laplace. che la probabilità registri certe caratteristiche oggettive della rea1tà. La probabilità è il nostro grado di fiducia nel verificarsi di un evento sulla base delle evidenze disponibili, De Finetti, 1932 riprendendo quanto già intuito da Bayes col suo famoso teorema.

La realtà lancia i suoi stimoli agli esseri umani. Le neuroscienze (ma già Bleger – 1967 - aveva parlato di uno psicoticismo naturale sedato solo dal linguaggio) ci insegnano che se non si è in grado di porre un'interpretazione agli stimoli (meglio si direbbe, sugli stimoli per poterli incapsulare, classificare, controllare) si ha una perturbazione dello stato emotivo che può comportare dei gravi problemi nell'immediato ma anche nel lungo periodo. L'unico modo per evitare che questo accada è porre delle interpretazioni convincenti su quanto accade all'interno del proprio corpo, nelle memorie e all'esterno del proprio corpo, nel mondo. Sono le parole, il linguaggio, lo strumento vivo capace di produrre significati delle esperienze e degli stimoli. Il linguaggio è una vera e propria macchina per pensare.

Eppure sul nostro tema convivono molte spiegazioni tra cui varie irrazionali accanto a quelle razionali scientifiche. Pure queste ultime sono varie a riprova che è illusorio avere una spiegazione valida per tutti e una volta per tutte nelle scienze che hanno per oggetto l’essere umano.

Una questione cruciale che attraversa tutta la storia della scienza è la possibilità e la capacità della scienza di parlare alla gente e nello stesso tempo la capacità della gente di apprendere dalla scienza. Che tra scienza e popolo ci sia uno iato è tema ricorrente per tutte le discipline. Il popolo sembra difendersi dalla scienza percepita spesso con diffidenza e pregiudizio. Recenti fenomeni di scorretta costruzione dei dati (falsi) usati per sostenere certe dimostrazioni o di corruzione finanziaria e di mancata integrità, hanno aggravato la credibilità della scienza tra la gente comune. Esiste tuttavia una forma di antagonismo antiscientifico che si manifesta crudamente nelle posizioni negazioniste.

Si pone la questione di come la scienza possa essere appresa dalle popolazioni e non snobbata, derisa o bypassata attraverso formulazioni che hanno più spesso a che fare col pensiero magico. Si tratta quindi della lotta fra una lettura del mondo tramite i principi e i metodi della logica che si confronta, molte volte in modo perdente, con i principi e i metodi di interpretazione del mondo basati sulla magia e sulla superstizione; in una parola sull’ignoranza.

Nel contempo, la babele delle comunicazioni durante la pandemia l’ha mostrato con chiarezza, è necessario apprendere a comunicare socialmente la scienza. Fauci nell’intervista a JAMA del 9 settembre 2022 dice: “È la focalizzazione sul sapere qual è il tuo messaggio ed essere in grado di articolarlo in un modo molto nitido che fa la differenza”.

Definire con precisione l’oggetto o gli oggetti di cui ci si vuole occupare è essenziale.

Per lungo tempo si è usato il termine “tossicodipendenza” successivamente spesso sostituito da “dipendenza patologica”; più recentemente è spesso utilizzato il termine “Addiction”. I molti tentativi di tradurre addiction nella lingua italiana non hanno dato esito soddisfacente e si è finito per assumerlo nella nostra lingua. L’inesistenza di una parola italiana che possa essere usata per le addiction fa sì che nel gergo professionale, e così anche in questo scritto, capiti di usare il termine “dipendenza” nel senso di addiction. Questo non deve confondere perché il termine Dipendenza si rivela sbagliato in sé perché tutti si nasce dipendenti. La esistenza di ogni individuo comincia con una separazione, il trauma della nascita (Otto Rank, 1924 -1990), causa della “fissazione primaria” alla madre che, se non superata, sarebbe la fonte delle nevrosi. Con la nascita l’unità originaria si è rotta per sempre e sorge la nuova realtà: quella “oggettuale” (Malher, 1973). Da quella separazione deriva la condizione di mancanza e la correlata dipendenza. Il nutrimento non viene più fornito gratuitamente, involontariamente e inarrestabilmente, ma in uno scambio tra due soggetti separati, uno bisognoso che chiede e l’altro che può esserci o non esserci a seconda di tanti fattori, non ultimo la sua disponibilità.

Il dolore per la separazione e l’afflato per il ricongiungimento danno vita in Aristofane nel Simposio platonico al mito della mela dimezzata: esseri umani dimezzati alla perenne ricerca della metà mancante.

L’ansia di separazione (Bleger), se non arginata dalla gioia di crescere, fa emergere spinte regressive che vorrebbero l’incorporazione totale con una capricciosa pretesa di ottenere quel che manca: da lì i bambini, capricciosi e prepotenti che imperiosamente vogliono l’oggetto da cui dipendono. (Jeammet, 1992)

Crescere è fare scelte, rinunce e perdite. Nel gioco di volere assolutamente quel che non si ha, sorge la dinamica della dipendenza patologica. A nulla serve che essa si dipinga di desiderio o di amore (dipendenza da amore, Lorenzi, 2010), quando è estrema se ne è schiavi, così come significa nella lingua latina la parola addictus (Cuzzolaro, 2015).

I desideri caratterizzano la vita degli esseri umani. Non si smette a nessuna età di desiderare e di mettere in atto scelte che ne aiutino la realizzazione. Questo dinamismo nasce da un vissuto di incompletezza che chiede di essere colmato per la coscienza del limite, di essere storico, incarnato, relazionale. Solo se ci si percepisce così, si possono desiderare nuovi orizzonti. Non tutti i desideri sono però possibili. Alcuni sono pretese impossibili, imposizioni che calpestano la realtà delle cose e delle relazioni. Occorrerebbe essere soddisfatti pur avendo desideri insoddisfatti, Bonhoeffer (1979.)

Una chiara definizione consente di trarre coerenti conclusioni rispetto a quanto sia accaduto e formulare buone ipotesi rispetto a quanto potrebbe succedere. Dalla definizione derivano, colano, i passaggi successivi operativi. Per questo una buona definizione è cruciale per la qualità del lavoro professionale.

(Nizzoli U. tratto dal capitolo 1° di  In Sostanza. Manuale sulle Dipendenze Patogiche, curatori Lugoboni, F. e Zamboni L., CLAD Edizione 2019