Essere genitori è un lavoro difficile e molto duro. Spesso capita di sentire genitori che lo affermano, hanno bisogno di essere capiti, di essere apprezzati per gli sforzi che fanno. Altri invece dicono genitori è la cosa più difficile da fare per giustificarsi, per spiegare come mai non ce l’hanno fatta. Io stesso lo dico in certe occasioni, in un colloquio o in una conferenza, chi si ingaggia deve sapere che gli è chiesto molto, ma che può averne molte gratificazioni; innanzitutto quella di sentirsi parte della riuscita del figlio o della figlia a cui dedica attenzione con amore.

Anche con le migliori risorse disponibili, una buona cultura, condizioni economiche favorevoli, una certa sanità mentale e relazionale, soddisfare le esigenze di tutti i membri della famiglia nella società frenetica di oggi è molto difficile. Figurarsi quando non ci sono buone basi culturali o cognitive o quando c’è la povertà o quando c’è un disagio mentale o relazionale. Figurarsi poi quando alcune di queste cose negative accadono assieme. Fare i genitori in quelle condizioni è davvero complicato, al limite impossibile. Servono aiuti, sostegni, e perché no?, controlli.

 

Lo stress quotidiano è notevole, le cose accadono in fretta, spesso sono fonti di disturbo; fare quadrare i conti o mantenere l’equilibrio emotivo e relazionale può provocare una specie di pedaggio psicologico con ricadute anche fisiche su tutti i membri della famiglia, compresi i bambini. Come sempre sono i più deboli a pagare il dazio maggiore, ed i piccoli hanno meno strumenti per comprendere, per anticipare, per proteggersi, per dominare le situazioni difficili. Essendo più esposti possono pagare un prezzo maggiore in termini di acutezza mentale, possono peggiorare gli apprendimenti o possono mostrarsi instabili, irritati e diventare intrattabili.

 

Imparare a fronteggiare lo stress è, diciamo, una materia non meno importante di matematica. Maneggiare lo stress si impara dalla vita che si fa: il primo insegnante è il genitore. La materia si chiama RESILIENZA, che significa la capacità di non farsi travolgere dagli accadimenti stressanti e traumatici e, meglio, di reagire adattando organizzazioni psicologiche e di comportamento che sanno reagire positivamente. Di fronte alle tragedie, e purtroppo ne accadono di enormi, la resilienza è di coloro che non crollano emotivamente, che non sviluppano sintomi di depressione grave o che non si danno alle droghe o all’alcol ma che sanno reagire; che non si chiudono nel lamento ma che trovano il coraggio di accettare la sfida che e riorganizzano la propria vita, casomai con maggiore vigore ed iniziativa di quanta non avessero prima. Questa capacità si impara: i genitori sono il primo insegnante, sono innanzitutto loro che devono costruire la resilienza dei loro figli. Siccome stiamo vivendo in un’epoca iper-attiva in cui gli stimoli, ed il conseguente stress, hanno livelli vertiginosi, l’impegno è tutt’altro che agevole, tanto più che certi aspetti che possono essere frustranti sono poco aggredibili. Che so, la mancanza di spazio in casa o un quartiere deprivato o case fatiscenti non dipendono solo dalla volontà dei genitori. Pensiamo poi ai problemi del lavoro, dell’occupazione o dei trasporti; ci sono ragazzi che non frequentano servizi perché semplicemente non ci sono. Cambiare queste circostanze per una coppia di genitori non è tanto possibile. Ma anche in quelle condizioni disagiate i genitori possono fare molto per ridurre gli effetti dello stress e per aiutare i loro bambini a sviluppare le capacità di reazione e di recupero. Aiutarli a costruire una solida resilienza. Se sanno dare loro questa capacità, i figli sapranno fronteggiare, recuperare, regolare gli effetti derivanti dalle avversità. E quelle possibili da cambiare, impareranno a farlo, mentre quelle impossibili impareranno ad accettarle. Come diceva, tra gli altri saggi cristiani e buddisti, san Tommaso Moro: “Signore dammi la forza di cambiare le cose che posso modificare e la pazienza di accettare quelle che non posso cambiare e la saggezza per distinguere la differenza tra le une e le altre”.

 

Si tratta quindi di insegnare tre qualità: accettare l’ineluttabile, cambiare il possibile e, prima fra tutte, l’intelligenza di sapere distinguere tra l’una e l’altra.

Avere una resilienza così è straordinariamente importante per tutto il resto della vita perché permette di superare le esperienze negative. La resilienza va considerata un’abilità che si sviluppa a partire dall’infanzia, per questo i primi insegnanti sono i genitori e lo fanno innanzitutto con l’esempio ed il ragionamento.

 

Che sia fondamentale è ormai chiaro dai tanti dati di ricerca che dimostrano i rischi sopportati dai bambini. Costruire resilienza aiuta a prevenire le conseguenze negative degli stress ambientali. Senza resilienza i bambini sviluppano difficoltà, anche molto gravi in vari ambiti. Distinguiamo i rischi in ambito cognitivo da quelli emotivi, da quelli fisici e da quelli sociali. Prendiamo quelli cognitivi. Possono esserci ritardi nel linguaggio e negli apprendimenti, problemi di memoria, di attenzione, ridotta capacità di concentrarsi, evidenti danni nella performance scolastica, inaspettate bocciature.

Sotto il profilo emotivo si possono sviluppare difficoltà a regolare le emozioni, scatti impulsivi, rabbia, frustrazione, lesione dell’autostima, irritabilità e reazioni spropositate ed improvvise, sviluppo di franche patologie psichiche.

Sul piano fisico potrebbe crearsi un indebolimento della funzionalità del sistema immunitario, ricorrenza di infezioni, formazione di patologie croniche, danni nella formazione cerebrale.

Sul piano sociale possono manifestarsi comportamenti aggressivi e violenti, instabilità delle relazioni, episodi di bullismo, tentativi di suicidio.

Disturbi dell’alimentazione, tipo l’obesità o la bulimia, o l’abuso di sostanze o di alcol sono all’ordine del giorno. Insomma se questi sono i possibili danni principali, sviluppare resilienza è davvero cruciale. Ma come si fa?

 

Intanto è preliminare capire che è il genitore il primo insegnante di resilienza e che perciò egli va stimolato ad ingaggiarsi. Essere genitori adeguati dovrebbe prevederlo. E’ un peccato che tra le competenze genitoriali che la legge chiede a chi alleva dei figli non venga dato il giusto valore al sapere costruire resilienza. A volte si incontrano genitori più che dediti alla cura dei figli, genitori premurosi sempre presenti, ma che trasmettono ansia e paura anziché coraggio e resilienza. Questi sono genitori responsabili e protettivi ma non forniscono l’alimento essenziale per fronteggiare la vita, la resilienza.

 

Ma come si fa a crearla? La nostra è una rubrica di cultura ed educazione alla salute; prossimamente vedremo qualche consiglio ancor più pratico.

Umberto Nizzoli