La pandemia sembra finita, il Covid-19 non fa più paura; ma gli effetti proseguono.

La voglia di tornare a una vita piena, “come era prima”, è talmente forte che le persone persino

esagerano e fanno cose che prima non avrebbero fatto, almeno non con pari eccitazione. E’ tornata la vita! E ci si rincuora. In realtà la sofferenza striscia e persiste.

Ho trovato molto interessante leggere i risultati della serie di studi condotti dall’American Psychological Association. Là, anche là, ma potrebbe essere diverso?, la società sembra sperimentare gli impatti psicologici di un trauma collettivo. Trauma a cui la gente risponde cercando di dimenticare, di fingere un “ritorno alla normalità” superficiale; una normalità della vita che vorrebbe oscurare gli effetti post-traumatici. Effetti pesanti sia  sulla salute mentale che su quella fisica.

Chiedo scusa ai lettori. Continuo a usare la doppia declinazione mentale e fisica perché ci si è abituati a distinguere fra i due aspetti. Figli di una tradizione culturale che identificava una res cogitans e una res extensa continuiamo nella deformata descrizione di una persona umana scissa in due parti. L’essere umano in realtà è uno e salute mentale e salute fisica gli appartengono e si uniscono in lui indistinguibili per le interrelazioni e le comunanze che legano queste due “parti”.

Lo stress prolungato che ha accompagnato la pandemia di COVID-19 già dalla sua esplosione ha un impatto significativo sul benessere degli individui e delle collettività. Lo si rileva dall’aumento aumento molto significativo delle sofferenze mentali e relazionali, aumento tra il 50 e il 60% con una crescita delle domande di aiuto ai servizi di salute mentale dell’ordine di un +30%,  e delle malattie organiche e della maggiore incidenza delle malattie croniche.

Vediamo un po’ i dati della ricerca APA.

Tra le persone di età compresa tra i 35 e i  44 anni, gli affetti da malattia “cronica”, tipo ipertensione,  diabete, asma, passano dal 48% pre-pandemico al 58%.

Sempre tra le persone tra i 35 e i 44 anni le diagnosi di malattia mentale passano dal 31% al  45%.

Sono però i giovani adulti, quelli tra i 18 e i 34 anni a cavarsela peggio. Ricerche recenti, del 2023 per intenderci, riportano un tasso di malattie mentali pari al 50%.

Se guardiamo alle determinanti sociali di salute (le determinanti sociali di salute sono quei fattori sociali che Incidono sulla salute fisica e psichica) osserviamo che i problemi economici sono aumentati notevolmente. Per rimanere là dove hanno condotto le ricerche che sto illustrando, gli adulti di età compresa tra i 35 e i 44 anni che avevano problemi di denaro erano il 31%. Adesso sono il 77%.

I problemi di denaro o i pensieri e le paure legate al denaro sono fattori che causano uno stress significativo che si ripercuote sulla salute, fisica e psichica.

La pandemia di COVID-19 ha creato un’esperienza collettiva traumatica. Non possiamo ignorare i molti morti, il cambiamento nei luoghi di lavoro, nei sistemi scolastici e nella cultura in generale. Per recuperare davvero e non in modo spasmodico bisogna comprendere curare le ferite psicologiche che rimangono vive.

Tra i fatti nuovi e strani post-Covid viè che molte persone hanno una percezione positiva della propria salute anche quando hanno ricevuto una diagnosi di una malattia cronica. Ad esempio si è riulevato che più di quattro adulti su cinque valutano la propria salute fisica come buona o, addirittura, molto buona (81%), ma il 66% sa di avere una malattia cronica. Ho il diabete ma sto molto bene, dicono.

L’81% degli adulti dice di godere di una buona salute mentale anche se più di un terzo (37%) ha ricevuto una diagnosi di malattia mentale. Sono depresso ma non ho una malattia mentale, dicono.

La gente minimizza: tale è la paura che si costruisce una narrazione per mascherare quel che si ha.

Ad esempio ancora i più minimizzano il proprio stress, Il 67%. Sì ho problemi ma non sono “davvero gravi” c’è chi se la passa peggio.

Quando si chiede perché non cerchi delle cure, le ragioni principali sono: la terapia non funzioni (40%), non ho tempo (39%) o costa troppo caro (37%). Nonostante queste “ragioni”, quasi la metà (47%) dice che sarebbe bello avere qualcuno che lo aiuti a gestire lo stress. Molti si inbiscono o accentuano la solitudine: il 62% non parla di come sta per non gravare sugli altri.

“Lo stress colpisce tutti i sistemi del corpo, l’apparato digerente, quello respiratorio, quello circolatorio e cardiaco, il fegato, i sensi e il cervello; può colpire l’umore, il pensiero, la capacità di attenzione e di apprendimento; può scaricarsi in disturbi del comportamento dall’alcol alle droghe al cibo agli psicofarmaci al gioco d’azzardo alla dipendenza da internet; può ridurre la qualità e la lunghezza della vita”, ha affermato Evans, direttore generale APA..

(UmbertoNizzoli, nov.2023)