Il progressivo e incessante sviluppo delle conoscenze in ambito neuroscientifico ha aiutato a superare la secolare distinzione fra mente e corpo tipica della cultura occidentale.

Attraverso le più attendibili ricerche di neuroimaging oggi si può 

rilevare come la correlazione fra chimica e psichismo sia talmente intrecciata da formare una unità nella globalità umana.

Sulle basi genetiche si sviluppano processi neurobiologici attivati dai fattori ambientali, educativi e sociali con cui la persona crescendo si incontra dando vita a una costruzione della mente che è incarnata nel cervello e che è manifestata e modellata dai contesti, cioè dall'ambiente.

Le neuroscienze hanno dimostrato che le parole e le emozioni attivano i medesimi processi dei farmaci.

La mente è in continuo movimento, attivata da stimoli che provengono o dall'ambiente esterno, quello fisico o quello sociale, o dalla vitalità ed alla ritmicità del corpo della persona o dal bacino di memorie che si sono accumulate nella persona sulla base delle esperienze che essa ha fatto.

Da tempo si conosce che ogni azione clinica ha un suo effetto placebo, nel caso migliore oppure un suo effetto nocebo; il che detto in altre maniere significa che ogni azione clinica ha assieme alla offerta della procedura sanitaria o della molecola farmacologica prescritta, effetti determinati dalle modalità relazionali e dalle parole utilizzate da chi esercita quella stessa'attività clinica.

Lungi da essere quell'acqua fresca a cui una vulgata popolare riconduce, quello che è il placebo si sa da anni. Il placebo è quell’effetto collaterale aggiuntivo e intrecciato con la somministrazione e la ricezione dell'attività clinica. Il che comporta una grande responsabilità del sanitario che sa che oltre a dover eseguire procedure appropriate e accreditate deve (dovrebbe) anche farlo in una modalità che suscita una condizione di convincimento da parte del paziente funzionale a ottenere il massimo di efficacia possibile.

La responsabilità è grande perché non esiste solo un effetto placebo. Esiste anche di converso un effetto nocebo che accade quando il medico o il sanitario nell’effettuare le sue manovre cliniche o nel prescrivere i suoi farmaci, anziché indurre nel paziente fiducia, induce depressione e timore.

Le parole sono potenti stimoli che attivano processi mentali colpendo precisi bersagli nel cervello che possono essere positivi o negativi; in tutti i casi sono quei processi sono Identici a quelli attivati dai farmaci. 

Non è quindi giusto dire che la relazione terapeutica e le parole del clinico attivano i medesimi processi delle medicine, quanto piuttosto che sono le medicine a utilizzare gli stessi processi mentali presenti nella mente umana che vengono attivati dalla relazione interpersonale e dalle parole.

Il che implica una grande responsabilità per tutti i sanitari ma più in generale per tutti coloro i quali hanno autorità, compresi gli educatori e gli insegnanti, perché devono sapere che le loro parole non sono mai a effetto zero. Esistono parole che migliorano la condizione delle persone a cui si rivolgono e parole che peggiorano quella stessa condizione; che è un modo per dire che il modo di essere e il modo di esprimersi del sanitario possono incrementare la guarigione o possono comprometterla.

Da molto tempo ormai non passa una mia lezione senza che citi Fabrizio Benedetti, professore di neurofisiologia dell'università di Torino famoso neuroscienziato che ha tra i primi dimostrato l'esistenza, la consistenza e l'efficacia del Placebo.

Recentemente è uscito un libro sempre di Benedetti presso un editore molto importante, Mondadori, che farà diffondere queste conoscenze al largo pubblico essendo un editore ben più popolare di quelli che pubblicano riviste scientifiche solo per addetti ai lavori. Il libro si chiama “la speranza è un farmaco”.

Come fanno le parole negative pronunciate da una persona, da un sanitario, a indurre qualcosa di sgradevole e di dannosi un'altra persona? La risposta sta nell' ansia anticipatoria. Quando pronunciamo parole negative in genere induciamo aspettative negative per cui l'individuo si aspetta da un momento all'altro qualcosa di spiacevole e non c'è da sorprendersi se un sanitario comunica una persona che sta per succedere qualcosa di brutto la si mette in uno stato di ansia anticipatoria. Nel libro si possono leggere molti casi clinici. Oltre alle spiegazioni scientifiche del perché nel dolore, nella crisi dell'umore, nella crisi di coscienza, nella crisi di attenzione le parole possono attivare dei processi curativi simili a quelli ottenuti attraverso i farmaci. Evidentemente le parole non curano qualsiasi male; non sono medicine che possano sostituire l'intervento chirurgico né possono sostituire un antibatterico, un retrovirale o un antibiotico.

Ma nei casi del dolore, nei casi della depressione, nei casi della perdita di capacità attentiva, le parole (quelle giuste) possono avere effetti equivalenti a quelli ottenuti dai farmaci.

La cosa che nel libro è molto importante è che viene affrontato in maniera finalmente diretta l'importanza della spiritualità nella terapia. E’ scientificamente evidente che avere motivazioni che spingano a incontrare l’assoluto, che vadano al di là della contingenza, che facciano elevare lo sguardo verso l'infinito e che facciano credere in una speranza che travalica le contingenze storiche è un ingrediente terapeutico che migliora l'efficacia delle cure. E’ un caso concreto in cui la religione, non solo evidentemente quella cattolica, se Intesa non come consuetudinaria rappresentazione sociale ma come vero credo individuale è un potente ed efficace ingrediente per la cura. Spiritualità e terapia collaborano al buon risultato del benessere dell'individuo.

Lo si rileva nel trattamento delle persone con disturbo mentale o della condotta che allorchè si riesce a dare un significato al proprio comportamento e all'assunzione della propria responsabilità con una prospettiva è che è di tipo metastorico che va al di là delle contingenze spazio-temporali o delle circostanze ambientali, per l'individuo si crea una condizione di maggior quiete e rasserenamento con un sentimento di sicurezza interiore che in altro modo non è raggiungibile.

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