Da qualche tempo vi è grande attenzione ai temi dell’obesità, specie quella dei bambini. Molti interventi hanno l’obiettivo di sensibilizzare i genitori e di attivare le scuole per ridurne la diffusione. D’altronde l’obesità è un problema enorme per gli individui che ne sono affetti ma, forse soprattutto, per la collettività.

Eppure mai niente è semplice e, riferendosi alla condizione umana, quasi sempre esistono contraddizioni. Ed è così anche relativamente rispetto ad iniziative meritorie come quelle di prevenzione dell’obesità infantile. Comprendere le contraddizioni è fondamentale per tutti coloro, pediatri piuttosto che insegnanti e genitori, che si stanno impegnando per contenere la pandemia di obesità che sta colpendo i paesi del vecchio e del nuovo mondo. A proposito ricorda che paesi come il Messico hanno un tasso di obesi come nessun altro e che in Cina ormai vi sono più obesi che negli Stati Uniti.

Ebbene i programmi scolastici di prevenzione dell’obesità infantile possono suscitare preoccupazione per l’associazione tra la attività fisica ed i disturbi alimentari, questi sono i risultati illustrati da Rosen dell’Università del Michigan.
Dalla ricerca sociale emerge che circa il 30% dei genitori è in grado di riconoscere almeno un comportamento preoccupante nei loro figli, che potrebbe essere associato con lo sviluppo di disturbi alimentari. La triade di sintomi che si forma per dare forma ai disturbi alimentari è fatta di disturbo dell’immagine corporea, cioè un conflitto col proprio corpo, da un problema col peso e da una iper-attenzione al cibo. Quando nella mente di un ragazzo o di una ragazza i tre elementi diventano troppo insistenti il rischio di strutturare un disturbo alimentare è alto. Bisognerebbe sforzarsi di evitare che si formmi questa pericolosa associazione.
E’ un dato orientativo interessante sapere che il 30percento cumulativo tra maschi e femmine ne è interessato.
Queste condizioni favoriscono il diffondersi di iniziative di prevenzione.

Un recente rapporto del Mott Children National Hospital dell’Università del Michigan sulla salute dei bambini esamina la possibile associazione tra programmi di prevenzione dell’obesità infantile nelle scuole ed aumento dei disordini alimentari tra i bambini e tra gli adolescenti.
La ricerca ha indagato tramite i i genitori quali programmi di prevenzione dell’obesità i loro figli seguano nelle scuole, quali siano i comportamenti dei figlioli legati all’alimentazione e quali attività fisiche essi esercitino cercando di coglierne la preoccupante associazione.
Nel complesso, l’82 per cento dei genitori dei minori di età tra i 6 ed i 14 anni segnala lo svolgimento di almeno un programma di intervento contro l’obesità infantile nelle scuole dei loro figli. Il dato è sostanzialmente corrispondente a quanto accade da noi. I programmi possono variare. Di norma tra questi programmi vi sono dei corsi per l’educazione alimentare, la limitazione forzata o suggerita del consumo di dolci o di “cibo spazzatura” in classe, la misurazione dell’altezza e del peso col relativo indice di massa corporea, e gli incentivi motivazionali per lo svolgimento dell’attività fisica e la pratica fisica stessa. Nel novero di tutte queste attività alcune sono colpevolizzanti. Infatti il 7 per cento dei genitori riferisce che a scuola i loro bambini sono stati messi in questione fino a farli stare male su cosa o su quanto stavano mangiando.

A leggere questi risultati mi ritorna in mente quando ragazzino nella classe che frequentavo c’era una professoressa che irrideva apertamente e di fronte a tutta la classe il sovrappeso di un suo alunno reo di non applicarsi a sufficienza agli studi e …di essere troppo grasso. Mangia mangia, ironizzava, che la mortadella ti riempie il cervello. Un giorno quel bimbo si avventò su di lei. Ma torniamo all’oggi.
A questo stesso gruppo di genitori è stato anche chiesto relativamente ai comportamenti alimentari dei loro figli. Come si diceva il trenta per cento dei genitori dei minori tra i 6 ed i 14 anni segnala almeno un comportamento nei loro figli, che potrebbe essere associato con lo sviluppo di un disturbo alimentare. Questi comportamenti includono il sottoporsi ad una dieta inadeguata, l’eccessiva preoccupazione per il grasso nei cibi, la costante preoccupazione per il contenuto del cibo o per le tabelle nutrizionali, il rifiuto di consumare i pasti in famiglia assieme e di fronte agli altri di casa ed infine la troppa attività fisica.

“Il problema dell’obesità infantile è molto serio. Al fine di intervenire su quella che sembra una epidemia di obesità infantile, tutti devono essere coinvolti”, dice David Rosen, un’autorità scientifica di elevato livello, professore di Clinica Pediatrica e di Psichiatria presso l’Università del Michigan.

Tuttavia, Rosen dice: “Quando gli interventi sull’obesità sono messi in atto senza capire come funzionano e quali sono i rischi che provocano, ci possono essere conseguenze negative seppure non intenzionali. Sforzi preventivi pur ben intenzionati possono dare effetti sbagliati quando i bambini interpretano male le informazioni che vengono loro date”. In altre parole la prevenzione non è mai neutrale, può essere anche dannosa; ergo va fatta, ma bene. Non basta averne voglia e di farla comunque.
Anche perché molti dei disagi sono sottosoglia, cioè non arrivano ancora ad essere una malattia francamente diagnosticabile. Ma le persone ne soffrono, come se lo fosse.

“Molti di questi comportamenti sono spesso liquidati come tipici di una fase dello sviluppo”, afferma Rosen, “ma dato ciò che sappiamo circa l’associazione di questi comportamenti con il successivo sviluppo dei disturbi alimentari e sapendo che i disturbi alimentari sono in aumento nella loro prevalenza epidemiologica, si dovrebbe prenderli molto sul serio”.

Ma torniamo ai risultati della ricerca. Fare con troppa insistenza dell’attività fisica può essere un problema; può diventare una mania. E’ allora significativo sapere che sono l’11percento dei ragazzi che frequentano scuole in cui si fanno dei programmi di incentivazione all’aumento della attività fisica per combattere l’obesità che presentano questa attività smodata contro il 4percento dei ragazzi che frequentano scuole in cui non si fanno attività preventive dell’obesità.
D’altra parte la ricerca non ha trovato un’associazione tra i programmi di prevenzione dell’obesità nelle scuole e altri comportamenti alimentari preoccupanti.

“E ‘molto meglio e più sicuro per i genitori rispondere ai comportamenti alimentari preoccupanti presto – anche se ancora non risultano essere un problema – piuttosto che aspettare fino a quando non si è manifestato un grosso problema”, dice Rosen.

Infatti è molto più facile prevenire un disturbo alimentare che trattare un disturbo alimentare.

La ricerca si conclude offrendo una serie di suggerimenti per i genitori. Vediamoli:

1. bisogna essere attenti alle abitudini alimentari dei propri figli. Se vedete comportamenti che vi preoccupano, parlatene apertamente e delicatamente con i vostri figli. Se i comportamenti perdurano o aumentano, coinvolgete il pediatra.
2. bisogna stare informati sulle iniziative intraprese dalle scuole per prevenire l’obesità infantile. Ed è bene farsi coinvolgere ed impegnarsi in tale processo.
3. bisogna chiedere ai figli se sono stati presi in giro a scuola relativamente alle loro scelte alimentari o al loro peso o alle loro forme. Se lo sono stati, bisogna andare a scuola e parlarne con gli insegnanti per capire che cosa sta concretamente succedendo.

Come si vede anche le attività di prevenzione possono determinare effetti perversi negativi. Non basta fare le cose, bisogna saperle fare; ciò vale anche per la prevenzione.
Combattere l’obesità può innescare disturbi dell’immagine corporea o manie di movimento fisico spasmodico.

Umberto Nizzoli