Non ti fare trarre in inganno! Ma chi segue i dibattiti che si fanno tramite web ha invece l’impressione di assistere ad una grande confusione portata avanti con una consistente virulenza. Chissà quali notizie circolano adesso che mi stai leggendo!

La sensazione di rincorrere questioni che sfuggono, volano via, è forte. Molto, se non tutto, appare vano. Sì, perché i discorsi si rincorrono ripartendo sempre da zero, come se nessuno o nulla avesse mai costruito qualcosa di serio e di basato su solide conoscenze e nulla fosse rimasto. E’ così da parte dei politici tesi ogni volta a fare credere di avere trovato, finalmente verrebbe da dirsi!, la soluzione al problema dei consumi di sostanze. E’ così per i media che continuano imperterriti a cercare lo scoop: adesso si occupano di un deputato che frequenta ambienti in cui festini sessuali si coniugano con la cocaina. Ma è così anche tra i professionisti, così travolti dall’urgenza da non riuscire ad avere “basi sufficientemente sicure”, si direbbe alla Winnicot.

Ovviamente si può subito fare un elenco di “cose” che contraddicono la suddetta affermazione: ci sono infatti anche politici che fanno discorsi sensati, media che pubblicano articoli intelligenti e qualche professionisti che fanno onore a questo paese; ma sono pochi e soprattutto largamente insufficienti per porre freno al risorgere continuo di quelli della prima risma, quelli che cercano l’audience. Insomma chi costruisce, o cerca di farlo, ha spesso l’impressione di agire su un terreno fragile, fangoso; e si riparte sempre da zero. Possibile che accada quando il livello delle conoscenze scientifiche aumenta così rapidamente? Possibile perché c’è un baratro tra il mondo della scienza e la società civile, e le sue espressioni, politiche e giornalistiche. Purtroppo buona parte degli operatori stessi delle tossicodipendenze vive separata dal mondo scientifico ed opera seguendo stereotipi, luoghi comuni, spesso triti e ritriti. Due sono quindi le questioni. La prima consiste nel riuscire ad ingaggiare gli operatori in un processo di aggiornamento permanente

La seconda questione è ancora più grave, se si può. Tra società civile e mondo della scienza vi è uno scarto. Anziché essere vissuta come il sale della democrazia, la scienza è percepita come oscura, estranea, avversa, sospetta. Insomma non qualcosa di cui beneficiare, ma da cui proteggersi; un oscurantismo moderno che riecheggia i messianesimi medievali. Eppure succede in un’epoca, la nostra, di deificazione della scienza: l’uomo moderno non tollera nessun inciampo allo scorrere della vita e pretende sempre comunque una soluzione. E da chi se non dalla scienza e dalla tecnica? Ecco che sorge la deificazione della scienza che nell’immaginario può arrivare ovunque e risolvere qualsiasi cosa: fare rinascere i morti, scegliere il sesso dei figli, fare funzionare a perfezione la casa a distanza e con un solo pulsante, e via di questo passo con soluzioni futuribili.

Eppure nel campo delle dipendenze la scienza è invece ancora percepita negativamente: frutto del dominio irrazionale che c’è nel settore: anni di ricerche di soluzioni illusorie tramite guru, metodi “alternativi” improbabili e lanci messianici non sono passati invano, si direbbe. Ciò, se si può, presenta una questione ancora più grave, dicevo. Infatti sembra che il settore delle dipendenze sia impermeabile all’innovazione ed all’apprendimento. Sono a volte più avanti i giovani che frequentano il mercato dei consumi, di tanti professionisti! Benvenga quindi il dibattito sul web.

Molto c’è ancora da fare.

E’ in atto una forte evoluzione dei bisogni delle persone che si rivolgono ai servizi. Sono le forme “nuove” dei consumi che producono i “nuovi” bisogni. Pertanto necessita innanzitutto studiare queste forme “nuove”. Molti segnali arrivano dagli operatori di strada dal rumore che esce dal web e da alcune ricerche epidemiologiche e qualitative. Ma sarebbe bene approfondire il tema e disporre di dati aggiornati sui nuovi stili di consumo. Per questo è iniziata in provincia di Reggio Emilia una estesa ricerca-azione che vuole toccare le comunità locali.

Se si ascolta qualche “santone” si può rilevare uno stile di chi cerca di non farsi mai cogliere di sorpresa, neppure di fronte ai fenomeni nuovi e che vuol fare credere “io lo sapevo già”. Che noia. Sarebbe il caso di finirla con questi atteggiamenti da “saputelli” e di ammettere che è in corso una formidabile ed affannosa rincorsa da parte dei servizi per cercare di applicare nuove strategie verso i “nuovi” consumatori nella consapevolezza profonda che le tradizionali strategie non si applicano per niente bene ai “nuovi” pazienti mentre le “nuove” strategie stentano ad essere individuate.
Nonostante quindi i grandi guadagni sotto il profilo delle conoscenze in materia di dipendenze, i recenti cambiamenti epidemiologici rilevano l’esigenza di aggiornare profondamente ed ancor più le pratiche che mettono a nudo serie carenze.

Una siffatta questione merita lo sviluppo ancora maggiore dell’attività di ricerca, di studio, scambio e formazione. Infatti siccome molto ancora c’è da fare per diffondere nelle pratiche di tutti i servizi pubblici e privati le conoscenze relative alle dipendenze “tradizionali”, dovere poi aggiornare le conoscenze a partire dall’epidemiologia su temi nuovi rischia di facilitare le novene dei detrattori dell’approccio scientifico.
Allora appare chiaro che la scelta cruciale consiste nel mettere al centro della costruzione di qualsiasi sistema curante. la ricerca e l’innovazione.

Pertanto occorre considerare la ricerca e l’innovazione non come le cenerentole o i fiori all’occhiello sempre comunque periferici alla pratica dei servizi, ma gli architravi fondanti gli stessi servizi. La ricerca e l’innovazione sono, dovrebbero essere, atti dovuti da parte di ogni apparato di servizi seri e moderni. Mi piacerebbe un governo, una regione, un Comune che dicessero: non possiamo finanziare servizi che non prevedono come azioni costitutive delle proprie pratiche di cura e di prevenzione le attività di ricerca ed innovazione. Forse oggi questa è un’aspettativa destinata a cadere nel cestino; ma almeno credere nella forza della ragione non è reato.

Personalmente lo trovo un orientamento necessario per differenti ragioni, che dico in breve: di giustizia verso i contribuenti affinché possano sapere che fine fanno i propri versamenti; di equità verso i pazienti e le loro famiglie; di rispetto verso i professionisti seri; di impulso all’aggiornamento scolastico; e infine, di civiltà e di democrazia.