Croce Mauro, I diari di Phoenix House, Durango edizioni, 2025
Ma cosa ti è venuto in mente Mauro di andare a fare nella parte del paziente a Phoenix House? Tua curiosità, la tua disponibilità, la tua
intelligenza, il desiderio di mettere il naso dentro le cose. Si sente la voglia di avere un approccio antropologico.
Mauro Croce una persona straordinariamente flessibile reattiva, intelligente, curiosa. Che ha fatto anche questa operazione, compresa quello di mettere in luce il diario di una quarantina di anni fa quando decise di finire a fare il “finto” paziente a i Phoenix House.
Il libro descrive con entusiasmo giocoso le condizioni della cultura underground, fonte della cultura giovanile alternativa, fatta di rifiuti e di esprimenti, di opposizioni e di entusiasmi, tra questi anche quelli del consumo di sostanze stupefacenti.
La società ne fu travolta e il problema giovane che consumo droghe divenne una delle principali questioni non solo sanitarie, ma direi ancor prima, sociali e di ordine pubblico. Nonostante ciò succedeva di avere nei centri delle città gruppi stanziali di tossicodipendenti che spaventavano i benpensanti e diventavano eroi negativi attrattivi di altri consumatori trascinandoli in questa spirale di annientamento soggettivo che è la dipendenza.
Mauro Croce ricostruisce in maniera pittorica questa condizione esistenziale.
Poi si dedica a raccontare Phoenix House, uno dei tentativi iniziali di risposta ai comportamenti antisociali delle persone dipendenti da droghe.
Quelle Comunità erano nate pochi anni prima, in California da cui molti fenomeni sociali degli ultimi decenni hanno preso origine. Il fenomeno delle Family, queste sette all'interno delle quali esisteva solo la legge della setta. Non erano accettabili appartenenze parziali o pensieri critici. O qualsiasi altra forma di riflessione, dubbio, domanda per la regione di avere una missione superiore che doveva essere realizzata dalla setta. Ricordiamo con angoscia ancora quello che accadde nella Guyana francese dove il “reverendo” Jim Jones guidò gli appartenenti della sua setta religiosa, i People Temples, a quello che è considerato il più grande suicidio di massa accaduto in un luogo e in un tempo predeterminato che avrebbe rappresentato la possibilità di ricongiungersi a quello che accade nel terrestre rispetto all'universale. Così come ricordiamo ancora Manson e la strage che fece nella villa di Polanski. Anche quello erano family, come Synanon che, trasferita poi nella east Cost, dà vita, attraverso una revisione progressiva, a quel fenomeno di Day-top Village, da cui derivano le comunità terapeutiche che hanno inondato l'Europa e in particolare il nostro paese. Ma questa un'altra storia, che si potrà fare in un altro momento.
Mauro croce descrive molto bene Phoenix House, un luogo nel quale l'individuo è soggetto a una gerarchia totale con un controllo del gruppo sempre presente che impedisce qualsiasi elaborazione, anche solo un quesito, perché sì, fare un quesito è già un'infrazione, la testimonianza di un dubbio che non è consentito, deve essere represso, duramente punito, anche con l’uso di quelle operazioni introdotte tempo prima dal fascismo nel nostro paese, che pur di dare un lavoro e assumere persone, le si mandava a fare un buco, che il giorno successivo andavano poi a riempire.
Dura e insensata gerarchia che nella logica della guerra alla droga darà vita alla esperienza dei Camp Boot negli Stati Uniti. Tragici luoghi, circondati da insuperabili sistemi di sicurezza, contenevano le persone tossicodipendenti in stato di detenzione pratica; in cui l'esposizione ad attività apparentemente senza senso, avevano invece il senso di distruggere le radici psicologiche, educative, comportamentali, che avevano portato alla formazione della dipendenza, sostituendola con uno scafandro comportamentale fatta di dipendenza dalle regole del contesto e, di converso, di annullamento dell'identità individuale.
Questo è Phoenix House, un luogo di rieducazione per soggetti di cui non si vede la prospettiva, la capacità di mentalizzazione e che perciò devono essere resi, come lo erano stati dalle droghe, dipendenti dalle leggi del gruppo, dipendenti dalla gerarchia.
Spaventati dai loro stessi pensieri, in modo da sentirsi orwellianamente, continuamente in colpa per qualsiasi cosa facessero.
La testimonianze di Croce è preziosa perché ricorda come di fronte a una situazione di grandissima crisi, e quindi di marasma sociale, le risposte cliniche non esistono, non hanno dignità di esistere. Scommettono su un soggetto considerato perso, scart, e in più pericoloso. Il sociale si sente minacciato dai comportamenti trasgressivi delle persone e diventa quasi naturale dare una risposta massiccia, forzuta, basata sulla forza della repressione del controllo.
Ricordo quando mi fermavo del benzinaio. Lui sapevo chi ero, direttore del Cmas e poi del Sert e con le sue maniere, tra il grottesco e il comico, ma in qualche modo anche vibrante contestatore mi diceva, eh! se ci fossi io, io li sistemerei quei tossici lì. Userei la frusta! Era la popolaresca minaccia della rìeducazione dura, come accaduto, nel corso della storia dei totalitarismi del secolo scorso. In molti luoghi da parte dei regimi comunisti, i campi di lavoro facevano rimediare la “giusta mentalità” ai rammolliti dal denaro, dalla cultura, dagli agi, puntando diritto alla rinascita dell’uomo nuovo, senza pensieri individualistici, senza anima, senza identità soggettiva perché assorbito dalle regole del sistema.
Beh, nulla è più distante di questo dalla clinica. Nulla più distante di questo dalla riconquista della libertà. Nulla più distante di questo dalla capacità di mentalizzazione. Mentre questo metodo, e anche Phoenix House, è molto vicino alla irreggimentazione e quindi alla sostituzione di una dipendenza negativa con una dipendenza che viene considerata positiva. Che dire? Al solito le cose sono complesse e ambivalenti. Ma che in situazioni in cui si è soggetti a una pressione sociale, gravissima e i fenomeni sfuggono e diventano incontrollabili le paure collettive prendono piede, è chiaro che, a un certo punto, intervengano delle risposte massicce, ordinative, punitive. Come succede anche in politica quando le paure sociali spingono a pretendere dall'eletto l’ordine anche a detrimento della libertà. Bene, si può discutere a lungo, se per queste persone che finivano all'interno di strutture come Phoenix House, o in altre sostanzialmente identiche anche nel nostro paese, avessero avuto la fortuna di incontrarle perché così uscivano dall'isolamento, dalla piazza, dal mercato e quindi della marginalità, oppure se erano state ridotte a vittime all’interno di gabbie gerarchiche culturali nelle quali il loro unico destino era quello di diventare a loro volta sacerdoti di queste sette. Cioè operatore di comunità, che continuavo, attraverso il potere gerarchico adesso acquisito, ad applicare le stesse modalità coi nuovi adepti.
È un dibattito che credo sia bene fare anche se i tempi oggi sono parecchio distanti.
Soltanto pochi preferiscono la libertà; i più cercano buoni padroni, dice amaramente secoli fa Sallustio.
C’è poi un passaggio illuminante che può sembrare contraddittorio all'interno dello scritto di Croce: “Didier Fassin raccogliendo una serie di inchieste realizzate verso la fine del ‘900 ha osservato come vi fosse allora, tra le persone una logica compassionevole e solidale. Mentre ora…” C’era un clima emotivo di compassione verso le persone affette da condotte di marginalità, di dipendenza e verso le loro conseguenze, che oggi è scemato.
Ecco, questo è molto interessante, perché nasce in quel contesto in cui la gente vive in maniera drammatica le condotte di dipendenza, ne è spaventata, ma ha un anelito di solidarietà e pensa che siano persone da poter recuperare, ecco, quindi, le esperienze come Phoenix House con le loro luci e le loro ombre, le loro contraddizioni.
Può essere che in quell'epoca molti che appartenevano a un orientamento più di sinistra le apprezzassero perché appunto ridavano un senso di speranza a quei ragazzi pericolosi, figli che sbagliano, compagni che sbagliano, che vanno accolti e rieducati.
Oggi molto di quello slancio si è perso e rimane un diniego, un evitamento: se sei spazzatura sociale, c…tuoi.
È ovvio che come crescita, come maturazione, come libertà individuale, quei modelli alla Phoenix House non funzionano più; anzi, non hanno mai funzionato.
Ma è anche ovvio che una società che ha perso questo slancio compassionevole ed è diventata molto più individualista ha un effetto paradossale: le persone sono più libere, ma sono anche più abbandonate.
Risposte così determinate, dittatoriali, tipo Phoenix House, sono disposte a prenderle in carico per cercare di dare a loro una nuova identità, quella della comunità.
Ma tu Mauro, cosa ci sei entrato a fare?