Da quando nel 1992 avvenne la straordinaria rivoluzione nel campo delle scienze con la istituzione di PubMed, una banca dati che raccoglie

tutto il materiale scientifico peer review, è avvenuto un effetto valanga che lascia attoniti gli stessi scienziati e che pone inevitabilmente esigenze di bonifica e regolamentazione.

L’intenzione era di disboscare la scena scientifica dai tanti bla-bla che non hanno basi di evidenza e creano false cognizioni non solo nella popolazione generale ma anche tra i professionisti.

Dalla idea di catalogare all'interno di questa banca dati solo le ricerche che potessero avere una elevata evidenza scientifica tale da poter ispirare i comportamenti clinici in tutto il mondo,  si è arrivati alla circostanza per cui oggi vi sono repertoriati circa 9 milioni di articoli scientifici che pur se suddivisi per le diverse discipline fanno sì che nel campo della salute mentale si sia in presenza dell'esigenza di conoscere circa un milione di articoli scientifici (chi volesse essere davvero update dovrebbe saperli!).

Il che è palesemente una distorsione.

Un fenomeno simile è avvenuto anche nelle altre grande banche-dati, seppur minori di PubMed, quindi sì secondarie ma pure di grande valore e significato come Psycinfo o Cinhal; in esse pure si è nella fattispecie di repertoriare milioni di articoli scientifici. 

La banca scientifica di APA, che è la principale società scientifica in materia di salute mentale (di cui sono socio), repertoria in PsycNet oltre 5.400.000 articoli scientifici tutti nell'ambito della psicologia, psichiatria, salute mentale.

Si tenga ancora conto che molti di questi articoli sono addirittura revisioni che cioè analizzano già loro una grande quantità di ulteriori articoli.

La causa di questo diluvio caotico è da rintracciare in vari fattori tra cui, principalmente, vi è la regola “publish or perisch” che spinge i ricercatori a ricevere i finanziamenti, a fare carriera, a  diventare più famosi e più prestigiosi in funzione del numero di pubblicazioni che fanno.

Stanford University pubblica giusto nel mese di gennaio del 2024 una ricerca secondo la quale al mondo ci sono stati 1200 ricercatori che hanno pubblicato (nel solo 2022, si badi) un articolo scientifico peer-review ogni 5 giorni: cioè più di 60 articoli scientifici in un anno! Una abnormità che mette un fortissimo dubbio sulla qualità, sull'etica e sulla correttezza dei dati che a volte vengono presentati.

Infatti succede con una frequenza ormai settimanale che le riviste scientifiche più importanti al mondo (NEJM, The Lancet, BMJ, Jama) pubblichino articoli di scusa ai lettori per avere pubblicato e citato articoli a basso impatto scientifico (o con dati parziali, o. a volte, modificati e financo inventati). 

Per dare una idea della babele nella quale attualmente ci si muove riferendosi anche a una sola banca dati, pur importante e ultra validata come PubMed, si scopre che gli articoli nella materia della genitorialità, quelli che interessano il caso che mi sottopongono gli avvocati Forni e Tralli, sono 72.000 di cui però per il vero solo una parte si occupa dell'affido. In questo caso facendo la selezione limitandosi all'affido a uno o più genitori, si arriva alla modesta (?!) cifra di 2847 articoli. Se ampliamo la ricerca alle altre banche-dati scientifiche internazionali validate (Psycinfo, Academia, Cinhal, Cochrane, ecc.) si è in presenza di circa 20mila articoli scientifici peer reviewed. Si badi che facendo così abbiamo eliminato tutto quel mare di pubblicistica di diverso livello (sì, bisognerebbe sempre imparare anche a dare l’indice di validità e il livello di valore delle pubblicazioni che si citano) a volte prodotta anche da stimabilissimi professionisti.

Rimangono comunque un numero tale da lasciare, oltre che senza fiato, un ampio spazio di scelta da parte di chi li volesse utilizzare (manipolare) acquisendo facilmente quelli che possono essere compatibili con la propria teoria o la propria ipotesi.

Cioè si è nella fattispecie che si trova quel che si cerca: se cerchi una cosa e vuoi dimostrare una teoria/ipotesi hai abbastanza probabilità di poter avere conferma di essa in articoli pubblicati e depositati nel patrimonio scientifico depositato nelle banche-dati internazionali. Se poi allarghi la ricerca e non ti limiti agli articoli scientifici che hanno superato lo step della peer-review, sei sicuro che trovi una vasta bibliografia utile per sostenere quel che vuoi.

A porre parziale rimedio a questa babele si è soliti fare in ambito scientifico (il sottoscritto è Guest Editor di Eating&Weight Disorders, pubblicata da Springer-Nature, tra i più importanti editori scientifici al mondo, se non il più importante) una previa analisi della qualità dei dati offerti.

Cioè se i dati cui l’articolo si rifà sono ottenuti su grandi campioni o su piccoli numeri, se i dati derivano da una ricerca fatta in doppio cieco o no, se i dati raccolti sono rappresentativi delle popolazioni o rispecchiano solo le persone che si sono rivolte a un servizio o hanno risposto a un questionario (casomai telefonico), se vi è affinità per età, dati demografici, condizioni cliniche sovrapponibili a quelle di cui si vuol parlare.

E’ chiaro che trasferire dati raccolti in un contesto socio-culturale ad un altro è un grave errore scientifico (oggigiorno ad esempio la American Psychological Association o il New England Journal of Medecine, tra gli altri e solo per citare i più titolati al mondo in ambito scientifico, dichiarano quel modo di procedere figlio della miopia del colonialismo culturale. Pensare di trasferire i dati raccolti in una popolazione ad un’altra senza pesare le differenze sociali, antropologiche, linguistiche, giuridiche è davvero miope). Per fare solo un esempio trasferire i dati raccolti su una popolazione di giovani laureati e relativi ai modi di accudimento dei minori a una famiglia di Nativi è un grave bias di ricerca oltre che cognitivo.

Oltre a ciò si deve poi guardare se nella raccolta dati della ricerca citata sono stati applicati dei modelli di calcolo e di validazione statistica che possano rendere validi i numeri raccolti.

Solo se si opera questo tipo di criteri e selezioni si trova la crème del materiale disponibile e allora le citazioni aiutano a decidere.

Altrimenti è possibile citare ricerche che sono state svolte su popolazioni poco rappresentative (cosa ci dice una ricerca fatta su poche decine di casi rispetto, che so?, al nostro paese intero?), o molto tipizzate che si riferiscono a popolazione specifiche che non rappresentano il caso di cui si vuol trattare (è identico ad esempio il caso di una maternità a sedici anni rispetto a una di 42 o a quella ancor più avanzata? O la genitorialità per via naturale con quella tramite una PMA o con donatore di gameti?; o che sono state condotte su ridotti gruppi di popolazioni di una specifica etnia, o gruppo religioso da cui pertanto ogni generalizzazione dei risultati risulta essere un abuso scientifico. 

Per completezza, se cioè non si vuole essere cestinati per citazione impropria, quando si volesse utilizzare la bibliografia per poter affermare un proprio punto di vista occorrerebbe citarla nel suo complesso e non selezionare solo alcuni titoli che confermano l'ipotesi del redattore.

Oppure occorrerebbe selezionare nel mare della bibliografia potenziale solo quella di buona qualità e eseguita su popolazioni con caratteristiche sovrapponibili a quelle del caso che si vuole esaminare.

Tutto ciò chiarito, occorre poi ricordare che i disturbi di cui ci occupiamo afferiscono al comportamento umano e molte volte non sono neppur disturbi (patologie), bensì comportamenti.

Dato che i comportamenti (e anche le distorsioni o disturbi o patologie) sono sempre multi-causati, essi sono l'effetto, il risultato, di una enorme quantità di fattori.

Il che significa che ben diversamente da una medicina deterministica in cui è individuabile la causa eziopatogenetica, contro la quale poi vanno indicate le cure, nel caso del comportamento umano (o della patologia che colpisce gli esseri umani) potere fare risalire a un fattore l'equilibrio o lo squilibrio della salute o del disturbo o della condotta di una persona è perlomeno azzardato e comunque totalmente arbitrario.

Tra l’altro, ironicamente, si può osservare che neppure nei casi di agente causale unico e ben individuato non si è per nulla certi che il responso solonico dello scienziato sia così univoco. Si veda cosa è successo poco tempo fa quando imperversava il virus Covid-19. Neppure in un caso così devastante e mono causale si è giunti alla univocità del pensiero basato sui dati di ricerca: i numeri vanno sempre interpretati e, ancor meglio, correttamente.

Se ciò vale per un virus si può credere che un articolo, o anche una serie di articoli, sappiano predire se il benessere del bambino sarà maggiore se andrà in ferie per una settimana col padre o se la madre lo iscrive a judo anziché a nuoto?

Questa materia può essere ambito della legge, materia di diritti e di doveri. Ma farla discendere da alcuni articoli di ricerca è fare torto alla scienza. Camuffamenti impropri.

Se tutto ciò non bastasse si ricordi che in epoca di big data, come si è attualmente, si punta a personalizzare le cure.

Il che significa che anziché riferirsi agli esiti delle ricerche che possono dare al più delle percentuali di probabilità (al meglio dispongono di validità stocastica) che un certo atto o un certo comportamento  possa eventualmente adire a un determinato e auspicato risultato, si deve tipizzare la situazione (fenotipizzare); cercando quindi in questo modo di fare la cosa giusta, con la persona giusta, nel momento giusto, nella situazione giusta.

Il che, come spiega la Qualità nella scienza, significa che se faccio sempre la medesima cosa con chiunque per la ragione che la cosa che faccio è confortata da dati epidemiologici a validità stocastica sicuramente sbaglio.

Cioè occorre calare tutta una serie di elementi e di fattori che fanno sì che l'intervento anziché essere percentualmente basato con una certa probabilità, diventi effettivamente pensato per la persona/per le persone (la situazione) in esame.

Occorre personalizzare gli interventi; questo chiede oggigiorno la scienza più avanzata.

Tanto più che se si immaginano solo delle soluzioni probabilistiche è molto difficile incontrare qualcuno che nella realtà concreta raffiguri la media percentuale dei risultati statistici di ricerche numeriche (epidemiologiche) basate sul tema dei comportamenti umani.

Umberto Nizzoli

citazione: www.umbertonizzoli.it